domenica 14 marzo 2010

Fine inverno

La neve di Marzo sembra cotone gettato per dispetto sulle facce assonnate della gente.
Lo sguardo che fino a pochi giorni prima tradiva il pensiero della primavera, ora è volto a terra, a evitare pozze d'acqua e ghiaccio che quando ci balzi dentro fanno un ridicolo spacioch. Sembra un'ingiustizia, la neve di Marzo, che costringe alla prigione dell'ombrello e alla tortura delle scarpe bagnate. Che obbliga tutti a sparlare con meraviglia del tempo, a raccontarsi in centimenti caduti:
- Da me almeno venti.
- Da me venticinque.
- Io, invece, ahimé, solo normodotato.
E mentre tutti parlano e misurano e fanno a gara di stanchezza, continuano a cadere fiocchi come coriandoli di una festa bianca che forse è solo una festa di addio. Tentare di evitarli è una danza da fare col cappotto e la sciarpa: passi incerti, balzi, giaravolte, da riguardare con un sorriso mentre si cammina all'indietro.
La neve di Marzo sono i titoli di coda dell'inverno più lungo che ricordi, da leggere con attenzione mentre tutti si alzano e vanno via sbuffando.

Che poi arrivano domaniche mattina come questa: il sole che sbianca le pareti di casa e scalda la pelle, un silenzio che mette quasi paura. Aspettare che quacuno si svegli, la barba da fare, il gusto del caffè da tenere sul palato. Uscire sul balcone e misurarlo in passi, tredici lunghi, tirare su la testa come una specie girasole, sentirsi addosso le gemme di una voglia nuova. Un inizio.