venerdì 28 novembre 2008

Tre metri sotto la neve

Mi sveglia di sorpresa il gatto, passeggiandomi sulla faccia. Il porco, da quando ha imparato ad aprirsi le porte, non ha più scrupolo alcuno: arriva a qualsiasi ora, mi stuzzunìa finchè non mi sveglio per poi infilarsi nel mio posto caldo. Credo che lo mangerò per natale.
Assonnato, scosto le tende dell'abbaino che fuori la luce è ancora svogliata. Mi sorprende il chiaro che arriva dal basso, dai tetti che ho sotto, dalle strade.
- La neve! - mi dico felice come un bambino che spera di saltar scuola.
La meraviglia mi assale in un brivido gelido che si inerpica dai piedi scalzi fino alla testa arruffata.
È l'ultima meraviglia che mi rimane, la neve, di quelle antiche che facevano saltare giù dal letto febbricitanti di vita.
Allora corro a spalancare gli scuri, curioso del mondo dall'altro lato: il cortile è candido; il fico, che nei giorni di vento ha perso ogni foglia, è un intreccio di linee bianche che tolgono il fiato.
Dal cielo cadono ancora fiocchi grandi così. Che fan quel rumore di fiocchi che somiglia a un arricciarsi.
Qualcuno mi arriva sui piedi, ancora scalzi, e sulle braccia scoperte come a dirmi:
- Svegliati pirla, che ci sono i panni stesi da ritirare!
- Cazzo, i panni stesi da ritirare!

E tutto il resto è solo correre, ché la neve la si gusta meglio per via.       

martedì 25 novembre 2008

Sul cadere

La sera è gelida. Lo si capisce dai vetri perennemente appannati dell'abbaino, dal luccichio terso delle stelle sopra la sinagoga.
Ma ci sono sere che la casa pare una prigione che non basta a contenermi.
- Andiamo al cinema - propongo come parlando tra me e me.
- Faci friddu - mi rispondono i più. Solo un musetto di pesca mi guarda e sorride saltellando:
- Vengo io, vengo io.
- Dai, vieni tu, Musettodipesca.
Un insano ottimismo alcolico ci lascia sperare che un'ora di anticipo, per un cazzo di film tedesco al TFF, possa bastare. Infatti, entriamo all'Ambrosio convinti che quell'enorme coda di gente sia lì solo per prendere caldo. Alle casse il contaposti dice zero. Die walle zero.
- E allora facciamo che andiamo al Greenwich, ci sono ancora quaranta posti per Le silence da la mer. O ventotto, al Massimo 3, per Le chant des mariees.
- Ma non faremo mai in tempo. È lontanissimo.
- Ma noi si va in bici - incalzo io con entusiasmo. L'aria è quella luciferina di quando ho una pessima idea.


L'Ombrina è pronta e scalpitante. Accogliente e forte a sufficienza per due.
Musettodipesca si accomoda sul sellino, gambe penzoloni e aria incerta. Io comincio a pedalare in piedi, le sue mani poggiate alle spalle.
Pendiamo vagamente a sinistra, ma si va come schegge in contromano.
Inchiodo solo quando sento gridarmi all'orecchio:
- Ahia, ahia, ahia! 
- Che succede? - chiedo preoccupato. 
- Niente. È che così mi fa male la patata.
- Dannate strade dissestate - rido.
Riprendiamo la strada seduti alla francese. Io pedalo a gambe larghe, Musettodipesca sta seduta a canna con aria svagata.
- Vedi che così è più bello? - mi dice - Mi sento così parisienne.
Non rispondo neanche. La strada si inclina lievemente in salita e ho solo santi da sfiatare.
- Però vai più piano! - sento sussurrare al vento. 
- Più piano di così non si può! - non faccio in tempo a rispondere. 
Un movimento scomposto di paura, un secondo di distrazione e il piede sinistro della signorina finisce incastrato tra raggi e forcella. La ruota anteriore si blocca all'istante, l'effetto catapulta è immediato.
Maledetto tacco dodici! - penso volando dritto come un fuso tre metri avanti alla bici, i palmi abbandononati sull'asfalto, ad attutire.
Musetto di pesca rovina a terra senza clamore.
D'istinto le guardo le gambe. Ma come cazzo avrà fatto a incastrare un Dr Martens tra i raggi? - mi chiedo.
- Cazzo. Parigina dicevi? - le dico ridendo mentre verifico le ossa di entrambi.
La forcella è piegata, quattro raggi saltati. Tutto da rifare!
Il cinema è un'altra cosa.
      

lunedì 24 novembre 2008

Dei miei pochi talenti

Allineo delusioni come solo un perito tecnico in disincanto saprebbe. Ecco, finalmente ho trovato qualcosa in cui sono bravo: sbaglio da professionista!   

venerdì 21 novembre 2008

Sugli incubi del divano

Il "Sogno di una notte di mezza estate" lo sogno d'autunno inoltrato, per una sorta di anacronismo tutto mio che mi tiene imprigionato.
Lento. Come mi piace essere. E fuori sincrono. Come sono per causa del fato.
Ma il gusto strano di questo Sogno cinematografico mi resta tra i denti, come un raggio di bicicletta. E ancora adesso sorrido, ripensando a Elena che insegue Demetrio su una bici a scatto fisso di fine ottocento, a Lisandro che fugge con Ermia seduta a canna - rigorosamente con gambe traverse e ben chiuse, come le signorine ammodo.
Così, il sonno se ne va e la voglia di curiosare tra le pagine di uno Shakespeare che conosco solo per tragedie rimane.
Mi chiama forte un volume dalla libreria, che sfilo e sfoglio tutta notte.
Oberon: Ill met by moonlight, proud Titania.
Titania: What, jealous Oberon? —Fairies, skip hence. I have forsworn his bed and company.
Oberon: Tarry, rash wanton! Am not I thy lord?

"Sogno di una notte di mezza estate" lo rileggo d'un fiato e, fortunatamente, lo ritrovo intatto (ovvero senza orpelli, bici, crinoline e quant'altro il cinema aggiunga per suo avveniristico gusto traslatorio).
Ma la mattina mi sveglio di soprassalto con il chiodo fisso della scatto fisso.
Bella come in sogno.
Che mi abbian spremuto sugli occhi il succo del fiore vermiglio di Cupido?
 
[Che ci si creda o no, il rapporto fra
Shakespeare e le biciclette esiste ed è lampante!]     

giovedì 20 novembre 2008

Il nero delle unghie

L'orologio del salotto si è fermato. Un incrocio di braccia che fa quattro e quarantatre.
Me ne sono accorto immediatamente, perché il silenzio della notte si è fatto ancora più muto. È divenuto come solido, avvolgendomi in una ruvida coperta di ombre.
Guardo in alto, come a cercare la sorgente dell'oscurità. Ma trovo solo l'esasperazione del litio che recide il nodo al polso di quei quattro fili che mi tengono ancora ancorato alla terra.
Era poi solo un ticchettio a legarmi a questo lato del mondo.
Essere perduto è il solo modo che so.
Il solo modo che ho per cercare la verità. Quella verità che si nasconde come una scolpendra negli anfratti del giorno, che si affossa tra doveri e incombenze, che si avvolge come un onisco per non farsi vedere. Una verità velenosa come un ragno.
Ma di notte ho unghie lunghe a sufficienza e denti aguzzi per scovarla. Occhi gialli per scavarle il vuoto intorno e vederla nuda.
Per scoprire me.
            

martedì 18 novembre 2008

lunedì 17 novembre 2008

About fitness

[Parco. Tiepida giornata autunnale. Gente che corre.]
Ginocchia: il giro in bici di sabato mi ha stremato. 
Fukuda: per forza, era un mese che non si pedalava. 
Ginocchia:
comunque, qua urge trovare un rimedio. Ché in un mese sono già alle cozze!
Fukuda: dovremmo imporci di andare a correre.  
Ginocchia:
ecco, ma per farsi venire quella voglia lì, ci vogliono gran belle motivazioni...
[La bella podista gira due volte intorno alla nostra panchina. Completo grigio attillato, occhiali da sole, crocchio biondo sulla nuca. Ammicca. E poi va.]
Fukuda: ...  
Ginocchia:
... 
Fukuda: eccoti le motivazioni che cercavi: farci sverniciare* dal piccione**!

[* sverniciare, in gergo ciclistico locale, è l'atto del sorpasso;
** piccione, in un qualche dialetto delle Murge, è la patata.]
              

venerdì 14 novembre 2008

Del coraggio dei gesti

Ci sono uomini la cui forza mi stravolge.
Basta un'occhiata veloce per intenderne, tra le rughe, la fermezza, la solidità dei passi, la tenacia nella lotta.
Ci sono uomini piccoli che sono eroi, capo calvo e aria triste, ma capaci di battaglie enormi.
Che sono personali, che diventano universali.
Capaci di sfidare il nemico stando dentro la pancia delle sue regole orrende. Ostili, irragionevoli. E disumane. [E anche disdivine.]
E io non so nascondere l'ammirazione che provo guardando di lontano la dignità ferma di Giuseppe Englaro. Io che non ho più padre -e, talvolta, mi scopro a cercarlo in altri visi- vorrei che fosse come lui: capace di tutta la fatica di un difficile gesto d'amore.
         

giovedì 13 novembre 2008

lunedì 10 novembre 2008

Senza titolo IX

Se dovessi inventare una favola adesso, così su due piedi -una di quelle che si raccontano a letto, dopo l'ammore, per fare addormentare femmine che, adagiate su un lembo di spalla, tornano bambine- lascerei perdere quella del ragazzino che aveva sempre freddo che tanti insulti, botte e risate mi regalò.
Ecco, oggi racconterei la storia di un inventore coi baffi. Di un tizio stralunato che sogna di costruire una bilancia in grado di pesare i sentimenti. Perennemente all'inseguimento di un'unità di misura che non si fa trovare -che sia il kilojoule al secondo quadro per metrocubo?- da mettere affianco, come prototipo, al chilo che sta a Sèvres.
Una bilancia che bastino due piedi poggiati sopra per far capire il bene.
Una favola che poi una cazzo di lancetta ci indichi chiaramente un numero. 
Un numero che si comprenda, che dia misura di tutto, di tutto quello che c'è oltre le parole non dette e quelle dette male, oltre le sfuriate, la rabbia, qualche silenzio di troppo o non inteso. Un numero contro ogni sospeso. Oltre le azioni che non si comprendono, perché per capire ci vuole fortuna. Oltre la voglia di infilarsi dentro scarpe due numeri più piccole. 
Ecco, una favola che finisca con una lancetta fuori scala. Come sempre, nonostante tutto.
E un numero troppo grande per saperlo contare ad occhio nudo. Un'esplosione magari -che le esplosioni ci stanno sempre bene- e un tizio coi baffi bruciati e la testa persa nel pensiero di aggiustare quel che non funziona mai.
              

giovedì 6 novembre 2008

In Bruges

Non c'è redenzione possibile.
Neanche quando una specie di angelo oversize decide che devi avere la tua cazzo di dannata seconda possibilità.

Il purgatorio è una via di mezzo. Non hai fatto proprio schifo, ma non sei neanche stato un granchè. Come il Tottenham.


[La verità è che è proprio un bel film. Adorabilmente scorretto. Proprio come piace a me.]
   

mercoledì 5 novembre 2008

Lessico familiare III

[Interno, sera. Cucina di Adelina. Neon, TV accesa, volume basso. Foto di nipotume alle pareti. Qualche Madonnna sparsa. Teste chine a studiare bollette ovvero Telecom maltratta canute, distratte signore]
Adelina: [alza il capo verso la TV] oh, io quella roba lì l'ho provata?  
Ginocchia: [senza guardare] cosa? 
Adelina: quella della pubblicità! 
Ginocchia: [si gira mentre finisce lo spot di Gran Soleil] ah!  
Adelina: già, già! è un subretto! 
Ginocchia: che? 
Adelina: un subretto! !
Ginocchia: nel senso che balla e canta male?
Adelina: no, nel senso che è al limone.                     

martedì 4 novembre 2008

Due Novembre

Il gravare di una mano sulla spalla mi sveglia che ancora non è l'alba.
Il divano sfatto odora di notte e cattivi pensieri.
Ci vogliono minuti interi di buio per capire che con me non c'è nulla di vivo, a parte il gatto che pulisce la sua baionetta in cima alla torre dei libri da leggere. Ci scambiamo uno sguardo sgranato e insieme voliamo alla feritoia della finestra.
Piove. Come un battere accellerato di secondi. La stanza è la cassa armonica del tetto che vibra, scosso da ditate d'acqua fredda.
A destarmi è stato solo un sogno. Ricorrente come questo mal di capa che m'affligge.
Mio padre che mi guarda immobile sull'uscio e mormora: "Vado...". La mano enorme si muove verso di me, come a colmare con il gesto il vuoto di parole mai dette. I segni delle bruciature stridono sul doppiopetto blu. C'è ancora, di lato all'indice, quel callo a foggia di bulbo, da cui a primavera non è mai nato alcun tulipano.
Sulle mie dita si leggono ancora i segni del saldatore. Il mestiere che entra. E che lentamente stanno sparendo.
"Resta..." provo a dire, ma è più pensiero che voce. Lo stupore di vederlo in piedi e vestito, una normalità di cui ho perduto memoria, mi ammutolisce.
Sotto la tesa del Borsalino, uno sguardo che è un "perché?" muto.
E poi la mano giunge sulla spalla e mi sveglio.
Non ho risposta a certe domande che sono un dolore. Restare e dividere, la sola cosa che ho imparato a fare.
        

domenica 2 novembre 2008

Domenica sera

Il bello degli ospiti è che se ne vanno.
Ma solo dopo avermi regalato un giorno da turista nella mia città: un viaggio
da Pechino a New Orleans nello spazio di una sera.
Come risvegliare un amore assopito per quotidianità.