mercoledì 31 dicembre 2008

Considerazioni di fine d'anno

M'hanno appena rubato l'Ombrina, fai un po' te!
Che poi mi chiedo, ma che cazzo se ne fanno di una bici con la forcella talmente piegata che la ruota anteriore sta incastrata sul tubo diagonale che nemmanco si può pedalare? E che non frena...
Sverniciata, sporca e con i cerchi arrugginiti. Con la metà dei raggi che servono e il movimento centrale sbilenco.
Io la volevo rimettere a nuovo per primavera, ma solo per amore, mica perchè avrebbe avuto un senso.
Comunque.
Che finisca presto quest'anno qua, 'fanculo!
   

martedì 30 dicembre 2008

Railway

Il treno traballa leggermente, rallentando l'ingresso in una curva che apre lo sguardo a colline sconosciute, terra che si offre immacolata e nuda.
Il vetro riflette l'immagine crucciata della ragazzina che ho di fronte.
Non temere, - vorrei dirle - si vede nello sguardo lontano che sei l'arbusto di una donna bella. E questi brufoli che tenti di coprire con un lembo di sciarpa tra le labbra saranno presto lontani, come la malagrazia dei gesti incontrollati. Ti rimarranno i denti esatti che ti rendono bello il sorriso, gli occhi dorati dal taglio acuto, i capelli mossi a crocchio che accompagnano come una nuvola il tuo guardare.
Lo sciocco che ti siede accanto, e che ti rende triste di disattenzioni, avrà il tempo di pentirsi. Germoglia già in lui quell'assenza di controllo dello spazio che da sempre fa dannare molti uomini. Le energie che spreca oggi per la tua vivace amica non le avrà più quando la timidezza lo coglierà come una peste.
Lo intuisce anche l'anziana signora seduta accanto a te, mentre ti sorride e tenta di proteggerti con il giornale della sera dagli spifferi del condizionatore e di una tristezza che non meriti.
Se solo potessi intuire quel che sarà.

Intanto, fuori, un istante di fulgida bellezza mi fa pensare che potrei anche morire. Uno spegnersi inatteso, come un regalo senza festa.
E non sarebbe brutto tra queste colline aspre di terra gelata.
Poi mi volto e sorrido dei pensieri di morte che mi rendono i giorni amari.
Canto a memoria tutti i miei errori, mentre mi abbaglia la consapevolezza che intuire cosa è giusto non serve a non sbagliare.
Il treno accellera in un singhiozzo di traversine e le colline si fanno case.
S'ha da star vivi. E cauti.

La stazione mi rigurgita nel vuoto del mondo che ormai
è notte. Nessuno più cammina lungo queste strade di nulla, solo io barcollo di un bagaglio senza ruote.
Alzo gli occhi al cielo nero.
Cadono i primi fiocchi di neve inaspettati, come a dirmi che sono a casa.
E non riesco a non ridere forte della parola gelata sussuratami all'orecchio dal mondo. Solo per me. Non riesco a non ridere forte di meraviglia.
E poi, piano, tutto si fa pioggia.  
 

sabato 20 dicembre 2008

Per l'appunto

Cara Valentina il tempo non fa il suo dovere
E a volte peggiora le cose
Credimi pensavo davvero di avere superato il momento difficile
Ed ancora adesso non mi è chiaro lo sbaglio che ho fatto
Se il vero sbaglio è stato il mio
Perché dai miei trent'anni ti aspettavi un uomo col senso del dovere
[...]
E cara Valentina che fatica innaturale perdonare a me stesso
Di essere io di essere fatto così male
[...]
Per esempio non è vero
che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...
(ad libitum)






 

Max Gazzé - Cara Valentina (1998)


[E per Natale mi sto regalando proprio quei baffi lì. Ché sono un sacco buffi. Così rido tanto quando passo davanti allo specchio.]   

giovedì 18 dicembre 2008

Senza esclusione di colpi

La nemesi del gatto Arturo è Rita, la gallina di gomma.
Una sfida continua di graffi, miagolii, balzi e zompi. Orrendi sfiati di gomma (tipo fssssh) e schianti (tipo sgniéc).
Ritirate tattiche, infine, a pelo irto sotto la sedia.
Ma Arturo ha occhi grandi e gialli. Che usa come arma di distruzione pennuti: mi balza sulla pancia, fa due fusa, mi tira verso la bestia assassina e con lo sguardo mi dice: "pensaci tu!" mentre si sdraia a godersi lo spettacolo.
Io e Arturo abbiamo qualcosa in comune. Anche la mia nemesi è un vecchio pollo che mi tocca talvolta chiamare capo.
Aspetto speranzoso l'arrivo del gatto sterminatore.
    

martedì 16 dicembre 2008

Metamorfosi

La mano aperta controluce, come a riparare lo sguardo distratto, mostra una sottile membrana a unire le nocche. Come un merletto di pelle diafana e squame grigiastre. Ai lati del collo si sono aperte quattro fessure profonde, rosse quando butto dentro vapore d'acqua.
Sbancherei nel ghiaccio di Porta Palazzo.
Di aria non ce n'è più. Appena un po' d'ossigeno perso nella pioggia vaporizzata.
Un opercolo bianco tiene il ritmo del fiato.
La pelle dei piedi ha solchi bianchi da cui spuntano squame ordinate che salgono fin quasi al ginocchio.
Un'introflessione del gozzo serba l'aria che mi farà galleggiare quando tutto sarà coperto dal fango.
Se non smette di piovere, presto mi trasformerò in un pesce.
Una murena magari, che mi somiglia nel veleno del morso. O una tracina all'ombra del piede incauto.
Magari diventerò seppia, col tempo, per nascondermi dietro nuvole nere come dietro parole.
Ché diventare pesce è ciò che sogno da sempre. Un tonno o uno spada o anche solo un cefalo di porto.
Come Adelina, bambina, sognava di essere una gallina. Sorelladue un somarello. Io acciuga.
Il pensiero, negli anni, è rimasto animale.
Ma ora basta pioggia, però.
     

sabato 13 dicembre 2008

Con gli occhi sul piatto

Ho appena scoperto che Santa Lucia, la notte tra il dodici e il tredici dicembre, in qualche angolo d'Italia, porta regali ai bambini. Lei e il suo asino.
Da noi, quando c'era ancora nonna, si mangiava solo cuccì, la sera. Il piatto colmo di chicchi di grano e pochi ceci sparsi. Le carte per giocare a minichella sempre pronte nella tasca del grembiule di Adelina, come una colt a quaranta colpi.
Ma di regali, ahimè, neanche l'ombra.
Ieri, invece, ne ho ricevuto uno grande.
[E altri, prima, che non sapevo e di cui non si può parlare. Ché il non aver radici insegna a succhiare tradizioni come liquirizie e a mescolare carte come un baro.]
Beh, che dire se non grazie.
     

mercoledì 10 dicembre 2008

Gomito a gomito

Sono stati giorni di studio forzato, questi ultimi troppi, passati fianco a fianco di due ceffi dalla barba lunga.
I libri coprivano il tavolo e insidiavano il divano. Appunti e schemi si moltiplicavano di notte, come presi da orgiastico calore, mentre il vuoto del sonno si riempiva di formule e parole.
Sulle pagine, i cerchi neri delle tazze di caffé.
Nella testa il vuoto.
Di Penne, però, ricorderò sempre il miglior caffé del centro-nord -come si gloria lui- preparato con cura maniacale in qualsiasi, improponibile momento. E, soprattutto, le sue lezioni di comunismo teorico che m'hanno innamorato, buttate come a caso in ogni pausa sigaretta.
E cazzo se fuma tanto.
Dell'Ingegnere, invece, come ha messo sul tavolo sapienza e metodo. E nel cesso due cagate asfittiche e risate, sul tavolo, da far mal la pancia.
Io, di mio, c'ho messo solo quattro mura e un frigo pieno, la voglia di cucinare due pasti al giorno e la capacità di scovare, tra i pomodori, il filo del discorso.
Non molto altro.
Se non il talento di inventare giochi geniali per i pochi momenti vuoti.
[Anche se, devo ammetterlo, ho avuto nostalgia dell'assistenza di Fukuda e gli anni d'oro passati a studiare,
al posto di biochimicale, possibilità di una palla in un corridoio.]
Perdere tempo pare sia il mio meglio.
        

lunedì 8 dicembre 2008

Gemellaggi

Penne: certo che voi a Torino c'avete un bel freddo.
Ginocchia: dai, non esagerare. È solo un freddo normale, da fine autunno.  
Penne: ah, noi in Abruzzo un freddo così non ce l'abbiamo mica! 
Ginocchia: minchia! Manco fossimo in Polonia...
Penne: [con smaccato accento pennese] perché, la Polonia sta più a nord di Torino?
Ginocchia: no, Torino è al limitare dei ghiacci eterni. Più a nord, un nulla di lande desolate.
Penne:
[ridendo] ti faccio vedere su youtube pescara-milan?
Ginocchia: solo se poi io ti posso fare vedere Maspero che scava il dischetto di rigore... 

mercoledì 3 dicembre 2008

Personal Books Pusher

Una volta ne avevo uno.
Aveva capelli lunghi e nerissimi, occhi enormi che mi scrutavano. Sembrava un'indiana del Madhya Pradesh e quando indossò un sari verde per consegnarmi la mia dose settimanale di libri non potei fare a meno di lasciarle un bollino rosso sulla fronte. Un tilaka di curcuma rossa, ossido di zinco e vaselina.
Il mio pusher aveva un nome che era leggero anche solo da pensare. Come fatto d'aria.
Leggeva sempre e suonava il piano. E tutto ciò che leggeva me lo passava sottobanco, di notte, per non farci scoprire dalla biblioteca civica che allora controllava il mercato nero dei libri e aveva al soldo gente violenta, capace di strapparti la tessera annonaria se non riconsegnavi per tempo o lasciavi un segno a matita di lato.
Quelli erano anni che si riusciva a stare coricati su un prato a leggere per ore. Fianco a fianco. Erano quindici anni fa e sapevamo stare seduti sul bordo di un'altalena a non dirci nulla per notti intere.
Il mio personal books pusher sembrava conoscermi molto meglio di me. O come tutti i pusher, semplicemente, mi coglieva nel vizio.
C'erano quegli occhi grandi addosso che riuscivano a vedere oltre ogni mia stupida difesa. Uno sguardo fatto per mettere a nudo ogni segreto, nonostante l'ostinato negare, anche a me stesso.
- Toh, vedi se questo... - troncava le frasi e mi lasciava edizioni economiche ovunque, nelle tasche, nello zaino, sotto il tavolo, sapendo prevedere ogni volta cosa mi sarebbe piaciuto, cosa mi avrebbe fatto ridere o arrabbiaire, piangere o sognare.
Mi prestava libri a seconda dell'umore che mi voleva regalare.
Poi me ne donò uno che parlava di libertà.
E io fuggii.

Da allora non ho mai più avuto un vero pusher di libri, anche se la mia biblioteca è fatta per metà di libri altrui che sono quasi tutti i suoi. Dicevo, da allora non ho mai più avuto un vero pusher. Che poi è qualcuno dai cui ami imparare.
E non si impara volentieri da chiunque.

[E ora che ho avuto la fortuna di incontrare un nuovo spacciatore di libri capace di scavarmi dentro, capace di scovare quello che io ancora non so e voglio vedere, sono felice. E non mi consentirò fughe e non permetterò ammutinamenti.
Ché le cose belle non è che stanno lì a capitare tutti i giorni!]
              

lunedì 1 dicembre 2008

Al telefono

Signorina Esse: e di stasera? Che si fa?
Ginocchia: e non lo so! È anche lunedì...
Signorina Esse: birra e troietta?
Ginocchia: [ridendo] mpfh...

venerdì 28 novembre 2008

Tre metri sotto la neve

Mi sveglia di sorpresa il gatto, passeggiandomi sulla faccia. Il porco, da quando ha imparato ad aprirsi le porte, non ha più scrupolo alcuno: arriva a qualsiasi ora, mi stuzzunìa finchè non mi sveglio per poi infilarsi nel mio posto caldo. Credo che lo mangerò per natale.
Assonnato, scosto le tende dell'abbaino che fuori la luce è ancora svogliata. Mi sorprende il chiaro che arriva dal basso, dai tetti che ho sotto, dalle strade.
- La neve! - mi dico felice come un bambino che spera di saltar scuola.
La meraviglia mi assale in un brivido gelido che si inerpica dai piedi scalzi fino alla testa arruffata.
È l'ultima meraviglia che mi rimane, la neve, di quelle antiche che facevano saltare giù dal letto febbricitanti di vita.
Allora corro a spalancare gli scuri, curioso del mondo dall'altro lato: il cortile è candido; il fico, che nei giorni di vento ha perso ogni foglia, è un intreccio di linee bianche che tolgono il fiato.
Dal cielo cadono ancora fiocchi grandi così. Che fan quel rumore di fiocchi che somiglia a un arricciarsi.
Qualcuno mi arriva sui piedi, ancora scalzi, e sulle braccia scoperte come a dirmi:
- Svegliati pirla, che ci sono i panni stesi da ritirare!
- Cazzo, i panni stesi da ritirare!

E tutto il resto è solo correre, ché la neve la si gusta meglio per via.       

martedì 25 novembre 2008

Sul cadere

La sera è gelida. Lo si capisce dai vetri perennemente appannati dell'abbaino, dal luccichio terso delle stelle sopra la sinagoga.
Ma ci sono sere che la casa pare una prigione che non basta a contenermi.
- Andiamo al cinema - propongo come parlando tra me e me.
- Faci friddu - mi rispondono i più. Solo un musetto di pesca mi guarda e sorride saltellando:
- Vengo io, vengo io.
- Dai, vieni tu, Musettodipesca.
Un insano ottimismo alcolico ci lascia sperare che un'ora di anticipo, per un cazzo di film tedesco al TFF, possa bastare. Infatti, entriamo all'Ambrosio convinti che quell'enorme coda di gente sia lì solo per prendere caldo. Alle casse il contaposti dice zero. Die walle zero.
- E allora facciamo che andiamo al Greenwich, ci sono ancora quaranta posti per Le silence da la mer. O ventotto, al Massimo 3, per Le chant des mariees.
- Ma non faremo mai in tempo. È lontanissimo.
- Ma noi si va in bici - incalzo io con entusiasmo. L'aria è quella luciferina di quando ho una pessima idea.


L'Ombrina è pronta e scalpitante. Accogliente e forte a sufficienza per due.
Musettodipesca si accomoda sul sellino, gambe penzoloni e aria incerta. Io comincio a pedalare in piedi, le sue mani poggiate alle spalle.
Pendiamo vagamente a sinistra, ma si va come schegge in contromano.
Inchiodo solo quando sento gridarmi all'orecchio:
- Ahia, ahia, ahia! 
- Che succede? - chiedo preoccupato. 
- Niente. È che così mi fa male la patata.
- Dannate strade dissestate - rido.
Riprendiamo la strada seduti alla francese. Io pedalo a gambe larghe, Musettodipesca sta seduta a canna con aria svagata.
- Vedi che così è più bello? - mi dice - Mi sento così parisienne.
Non rispondo neanche. La strada si inclina lievemente in salita e ho solo santi da sfiatare.
- Però vai più piano! - sento sussurrare al vento. 
- Più piano di così non si può! - non faccio in tempo a rispondere. 
Un movimento scomposto di paura, un secondo di distrazione e il piede sinistro della signorina finisce incastrato tra raggi e forcella. La ruota anteriore si blocca all'istante, l'effetto catapulta è immediato.
Maledetto tacco dodici! - penso volando dritto come un fuso tre metri avanti alla bici, i palmi abbandononati sull'asfalto, ad attutire.
Musetto di pesca rovina a terra senza clamore.
D'istinto le guardo le gambe. Ma come cazzo avrà fatto a incastrare un Dr Martens tra i raggi? - mi chiedo.
- Cazzo. Parigina dicevi? - le dico ridendo mentre verifico le ossa di entrambi.
La forcella è piegata, quattro raggi saltati. Tutto da rifare!
Il cinema è un'altra cosa.
      

lunedì 24 novembre 2008

Dei miei pochi talenti

Allineo delusioni come solo un perito tecnico in disincanto saprebbe. Ecco, finalmente ho trovato qualcosa in cui sono bravo: sbaglio da professionista!   

venerdì 21 novembre 2008

Sugli incubi del divano

Il "Sogno di una notte di mezza estate" lo sogno d'autunno inoltrato, per una sorta di anacronismo tutto mio che mi tiene imprigionato.
Lento. Come mi piace essere. E fuori sincrono. Come sono per causa del fato.
Ma il gusto strano di questo Sogno cinematografico mi resta tra i denti, come un raggio di bicicletta. E ancora adesso sorrido, ripensando a Elena che insegue Demetrio su una bici a scatto fisso di fine ottocento, a Lisandro che fugge con Ermia seduta a canna - rigorosamente con gambe traverse e ben chiuse, come le signorine ammodo.
Così, il sonno se ne va e la voglia di curiosare tra le pagine di uno Shakespeare che conosco solo per tragedie rimane.
Mi chiama forte un volume dalla libreria, che sfilo e sfoglio tutta notte.
Oberon: Ill met by moonlight, proud Titania.
Titania: What, jealous Oberon? —Fairies, skip hence. I have forsworn his bed and company.
Oberon: Tarry, rash wanton! Am not I thy lord?

"Sogno di una notte di mezza estate" lo rileggo d'un fiato e, fortunatamente, lo ritrovo intatto (ovvero senza orpelli, bici, crinoline e quant'altro il cinema aggiunga per suo avveniristico gusto traslatorio).
Ma la mattina mi sveglio di soprassalto con il chiodo fisso della scatto fisso.
Bella come in sogno.
Che mi abbian spremuto sugli occhi il succo del fiore vermiglio di Cupido?
 
[Che ci si creda o no, il rapporto fra
Shakespeare e le biciclette esiste ed è lampante!]     

giovedì 20 novembre 2008

Il nero delle unghie

L'orologio del salotto si è fermato. Un incrocio di braccia che fa quattro e quarantatre.
Me ne sono accorto immediatamente, perché il silenzio della notte si è fatto ancora più muto. È divenuto come solido, avvolgendomi in una ruvida coperta di ombre.
Guardo in alto, come a cercare la sorgente dell'oscurità. Ma trovo solo l'esasperazione del litio che recide il nodo al polso di quei quattro fili che mi tengono ancora ancorato alla terra.
Era poi solo un ticchettio a legarmi a questo lato del mondo.
Essere perduto è il solo modo che so.
Il solo modo che ho per cercare la verità. Quella verità che si nasconde come una scolpendra negli anfratti del giorno, che si affossa tra doveri e incombenze, che si avvolge come un onisco per non farsi vedere. Una verità velenosa come un ragno.
Ma di notte ho unghie lunghe a sufficienza e denti aguzzi per scovarla. Occhi gialli per scavarle il vuoto intorno e vederla nuda.
Per scoprire me.
            

martedì 18 novembre 2008

lunedì 17 novembre 2008

About fitness

[Parco. Tiepida giornata autunnale. Gente che corre.]
Ginocchia: il giro in bici di sabato mi ha stremato. 
Fukuda: per forza, era un mese che non si pedalava. 
Ginocchia:
comunque, qua urge trovare un rimedio. Ché in un mese sono già alle cozze!
Fukuda: dovremmo imporci di andare a correre.  
Ginocchia:
ecco, ma per farsi venire quella voglia lì, ci vogliono gran belle motivazioni...
[La bella podista gira due volte intorno alla nostra panchina. Completo grigio attillato, occhiali da sole, crocchio biondo sulla nuca. Ammicca. E poi va.]
Fukuda: ...  
Ginocchia:
... 
Fukuda: eccoti le motivazioni che cercavi: farci sverniciare* dal piccione**!

[* sverniciare, in gergo ciclistico locale, è l'atto del sorpasso;
** piccione, in un qualche dialetto delle Murge, è la patata.]
              

venerdì 14 novembre 2008

Del coraggio dei gesti

Ci sono uomini la cui forza mi stravolge.
Basta un'occhiata veloce per intenderne, tra le rughe, la fermezza, la solidità dei passi, la tenacia nella lotta.
Ci sono uomini piccoli che sono eroi, capo calvo e aria triste, ma capaci di battaglie enormi.
Che sono personali, che diventano universali.
Capaci di sfidare il nemico stando dentro la pancia delle sue regole orrende. Ostili, irragionevoli. E disumane. [E anche disdivine.]
E io non so nascondere l'ammirazione che provo guardando di lontano la dignità ferma di Giuseppe Englaro. Io che non ho più padre -e, talvolta, mi scopro a cercarlo in altri visi- vorrei che fosse come lui: capace di tutta la fatica di un difficile gesto d'amore.
         

giovedì 13 novembre 2008

lunedì 10 novembre 2008

Senza titolo IX

Se dovessi inventare una favola adesso, così su due piedi -una di quelle che si raccontano a letto, dopo l'ammore, per fare addormentare femmine che, adagiate su un lembo di spalla, tornano bambine- lascerei perdere quella del ragazzino che aveva sempre freddo che tanti insulti, botte e risate mi regalò.
Ecco, oggi racconterei la storia di un inventore coi baffi. Di un tizio stralunato che sogna di costruire una bilancia in grado di pesare i sentimenti. Perennemente all'inseguimento di un'unità di misura che non si fa trovare -che sia il kilojoule al secondo quadro per metrocubo?- da mettere affianco, come prototipo, al chilo che sta a Sèvres.
Una bilancia che bastino due piedi poggiati sopra per far capire il bene.
Una favola che poi una cazzo di lancetta ci indichi chiaramente un numero. 
Un numero che si comprenda, che dia misura di tutto, di tutto quello che c'è oltre le parole non dette e quelle dette male, oltre le sfuriate, la rabbia, qualche silenzio di troppo o non inteso. Un numero contro ogni sospeso. Oltre le azioni che non si comprendono, perché per capire ci vuole fortuna. Oltre la voglia di infilarsi dentro scarpe due numeri più piccole. 
Ecco, una favola che finisca con una lancetta fuori scala. Come sempre, nonostante tutto.
E un numero troppo grande per saperlo contare ad occhio nudo. Un'esplosione magari -che le esplosioni ci stanno sempre bene- e un tizio coi baffi bruciati e la testa persa nel pensiero di aggiustare quel che non funziona mai.
              

giovedì 6 novembre 2008

In Bruges

Non c'è redenzione possibile.
Neanche quando una specie di angelo oversize decide che devi avere la tua cazzo di dannata seconda possibilità.

Il purgatorio è una via di mezzo. Non hai fatto proprio schifo, ma non sei neanche stato un granchè. Come il Tottenham.


[La verità è che è proprio un bel film. Adorabilmente scorretto. Proprio come piace a me.]
   

mercoledì 5 novembre 2008

Lessico familiare III

[Interno, sera. Cucina di Adelina. Neon, TV accesa, volume basso. Foto di nipotume alle pareti. Qualche Madonnna sparsa. Teste chine a studiare bollette ovvero Telecom maltratta canute, distratte signore]
Adelina: [alza il capo verso la TV] oh, io quella roba lì l'ho provata?  
Ginocchia: [senza guardare] cosa? 
Adelina: quella della pubblicità! 
Ginocchia: [si gira mentre finisce lo spot di Gran Soleil] ah!  
Adelina: già, già! è un subretto! 
Ginocchia: che? 
Adelina: un subretto! !
Ginocchia: nel senso che balla e canta male?
Adelina: no, nel senso che è al limone.                     

martedì 4 novembre 2008

Due Novembre

Il gravare di una mano sulla spalla mi sveglia che ancora non è l'alba.
Il divano sfatto odora di notte e cattivi pensieri.
Ci vogliono minuti interi di buio per capire che con me non c'è nulla di vivo, a parte il gatto che pulisce la sua baionetta in cima alla torre dei libri da leggere. Ci scambiamo uno sguardo sgranato e insieme voliamo alla feritoia della finestra.
Piove. Come un battere accellerato di secondi. La stanza è la cassa armonica del tetto che vibra, scosso da ditate d'acqua fredda.
A destarmi è stato solo un sogno. Ricorrente come questo mal di capa che m'affligge.
Mio padre che mi guarda immobile sull'uscio e mormora: "Vado...". La mano enorme si muove verso di me, come a colmare con il gesto il vuoto di parole mai dette. I segni delle bruciature stridono sul doppiopetto blu. C'è ancora, di lato all'indice, quel callo a foggia di bulbo, da cui a primavera non è mai nato alcun tulipano.
Sulle mie dita si leggono ancora i segni del saldatore. Il mestiere che entra. E che lentamente stanno sparendo.
"Resta..." provo a dire, ma è più pensiero che voce. Lo stupore di vederlo in piedi e vestito, una normalità di cui ho perduto memoria, mi ammutolisce.
Sotto la tesa del Borsalino, uno sguardo che è un "perché?" muto.
E poi la mano giunge sulla spalla e mi sveglio.
Non ho risposta a certe domande che sono un dolore. Restare e dividere, la sola cosa che ho imparato a fare.
        

domenica 2 novembre 2008

Domenica sera

Il bello degli ospiti è che se ne vanno.
Ma solo dopo avermi regalato un giorno da turista nella mia città: un viaggio
da Pechino a New Orleans nello spazio di una sera.
Come risvegliare un amore assopito per quotidianità.
 
     

giovedì 30 ottobre 2008

Affilandomi

É ora.
La notte è scesa veloce ed è più nera che mai. Non bastano proclami e finti ripensamenti da palcoscenico, ritrattare la propria parola in diretta nazionale dà solo misura del nulla che vale.
Ma le parole hanno un significato. Che non cambia negandolo. Che non si compra come una vocale sulla ruota.
E le azioni pesano il doppio sotto l'egida criminale di certi vecchi che non hanno ancora imparato la saggezza. 
Allora, è finalmente giunto il momento.
Che le persone si stringano di nuovo insieme, come corpo unico, e smettano di essere gente, per tornare a essere vive. Per riscoprire la condivisione. Che aveva ragione quel tale con il naso lungo un palmo: la libertà è partecipazione.
É giunta l'ora di tornare ad appartenere all'umanità, a sentire quel filo che ci lega tutti quanti, come in tutti quanti scorre il sangue [cit. da Sammy, qui]. E come corpo unico ci si difenda, senza avere più paura.
É ora che si vivano i giorni come si vive l'amore, insieme.
Ché se oggi ci hanno rubato uno dei quattro diritti fondamentali, presto ce li riprenderemo tutti.  
 

venerdì 24 ottobre 2008

Programmi a breve termine

Io stasera vado qua.
Per tanti motivi.
Per '
i tuoi capelli che sono fili scoperti che sono nastro isolante che sono fili scoperti', sopratutto.
E poi per sapere 'cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero'.
Ma anche perché chi apre il concerto alla batteria di un gruppo di squinternati megalomani -che ieri già manifestava chiari segni di ansia da prestazione come pressione bassa, sguardo smunto, scarsa sollecitudine al cazzeggio- sarà sicuramente felice di vedere le nostre facce abbarbiccate lassotto a fare il tifo.
Che poi si sa, i batteristi magri sono i più bravi (Police docet).

 





giovedì 23 ottobre 2008

Almanacco del giorno dopo

La macchina si muove veloce nel buio, una scheggia verde che striscia sulle note di Virgin radio.
Dentro si fanno parole che sono misura di quello che siamo.
- E questo è quanto.
- 'nnamobbene! 
- E quindi?
- Niente, solo che la gente dovrebbe ascoltare più Depeche Mode.
- Try walking in my shoes?
- Già.
E si fuma, rimasticando il gusto di vecchie parole nascoste negli anfratti della memoria. Un altro tempo, stesse notti passate a raccogliersi e fare il conto degli sbagli. Ridendo anche allora.

Il nero di una strada laterale ci inghiotte che siamo muti. Stretta tra i boschi di castagni si arrampica sul crinale in leggerezza.
Pedalata -in genere la si vola in bicicletta- sembra molto più breve che guidata. O forse è il buio a ingannare lo sguardo e il senso del tempo.
Un occhiata d'intesa e ci fermiamo nel mezzo di quattro curve. I fari spenti ci restituiscono cruda la notte. Velata e senza luna. Le stelle sono solo ipotesi estrapolata dal ricordo di un'estate al mare.
Fukuda scende lesto, vernice alla mano, e comincia a scrivere sull'asfalto.
Io scruto l'orizzonte, ascolto il silenzio degli alberi, fischio quando vedo dei fari avvicinarsi tra i tonchi e lo recupero al volo. Si finge di andare. E poi si tira la retromarcia per finire il lavoro.
É un regalo di compleanno da niente, questo.
Fatto di cuore a qualcuno che ha tutto. Tranne una persona che, quando spinge in salita, faccia il tifo per lui.
[E tutto, per Mr Dibs, è una Olmo in carbonio montata Campagnolo: "Perché dietro ogni bici che sale c'è l'ombra di una femmina che se ne è andata" - mi disse un giorno senza pensare.]
Allora ci siamo noi, per il poco che vale, a riempirti l'asfalto di scritte:


VAI MR DIBS,
P'DALA P'DALA CHE SU C'É PIENO DI FIGA,
AURO CULO,
e infine
AUGURI MR DIBS, RE DEL CARBUN.


Quel che resta della notte sono due birre in riva al lago, sei sigarette e il resoconto un po' truce delle dieci migliori scopate.
        

mercoledì 22 ottobre 2008

Ringraziamenti cartesiani

A x. Per avermi sostenuto, secondo la natura delle ascisse, lungo l'asse che dà il verso delle cose.
A y.
Per il talento di sapermi sollevare, sorridendo, dal meno infinto verso cui talvolta tendo. Per non avermi mai fatto smettere di ridere un istante, anche quando stavo sotto l'origine del piano.        

lunedì 20 ottobre 2008

Dal balcone

Lo spettacolo della sera sono uno stormo enorme di uccelli appollaiati in cima a una gru, come un filo aggrovigliato di perle nere. Qualcuno saltella da un braccio all'altro in silenzio, aspettando il tuffo nel vuoto di un temerario per poi gettarsi lesto all'inseguimento, sfidando il grigio dell'aria. Un gruppetto sparuto che si fa prima stormo sfilacciato e poi nuvola nera che, come un respiro, si espande nel cielo.
Che come un sospiro mi fa sognare di andare.
- Che sono? - mi grida la bionda del piano di sotto.
- Saranno storni - rispondo.
- Non sono corvi, vero?
- No, non è quel film lì.
Intorno, molti guardano il cielo rapiti. Qualcuno fuma qualche pensiero leggero.
Il bello delle case di ringhiera è che si va al cinema insieme. Oggi davano Gli uccelli.


giovedì 16 ottobre 2008

Mezzaluna

La pace, io la trovo solo quando affetto le verdure. Il ritmo del coltello sul legno del tagliere, la resistenza liquida delle fibre, il profumo che sale dalle cipolle fino agli occhi mi commuove. I colori sono un sapore che gioca sul palato: viola melanzana, rosso peperone, pomodori verdi come le zucchine.
Sul filo della lama trovo una quiete che non ho.


[Ecco, se imparassi anche a cucinare decentemente, saprei almeno cosa farne di questa montagna vegetale che quotidianamente affetto.]                       

mercoledì 15 ottobre 2008

Delirio notturno di un pastore di gatti

La sconfitta è un punto bianco che si espande in risonanza. Un nulla che ricomincia a crescere quando meno te lo aspetti.
- Numero Uno è andato in progressione - mi annuncia un medico tranquillo.
- Non è possibile, con quel nome lì non può mollare -  gli rispondo senza pensare, mentre mi appresto
sospirando a svolgere tutte le beghe di uscita dal Trial.
A poco vale l'avere superato di due anni la mediana di sopravvivenza. Si può perdere anche fuori tempo massimo. A poco serve la speranza. La voglia. La fame.
E a poco vale tutto questo lavoro che mi sfianca. Che mi schianta. Tutto questo contare, nella speranza di indovinare la combinazione
giusta che apra la strada a un mese in più di vita a Karnofsky 100.
Ci sono giorni che non si regge. Di perdere sempre.
Io non. Non ho corazze bianche a forma di camice -non sono medico, nessuno mi ha insegnato a difendermi dall'altrui dolore.
C'è mio padre in ogni paziente che incrocio di striscio nei corridoi. Mio padre in ogni persona che vedo vacillare. In ogni storia che ascolto.
E ci sono io. Che ho perso il giorno in cui, avvolto in sette strati di coperte, ho pensato per la prima volta che quanto accade agli altri è come se accadesse a me. Per una sorta di violenza della proprieta transitiva che oggi chiamerei empatia. Allora, ed erano poco meno di trent'anni fa, terrorizzato dall'idea dei sotterranei di Pietro Micca estesi fin sotto il mio pallido culo, fu facile dimostrarmi che 'Io ero gli Altri'.
Ora, che non ne sono più capace, quest'ostinata sensazione di comunione non ne vuole sapere di lasciarmi.


[E ogni tanto penso che dovrei cambiar lavoro e andare a coglier margherite per prati.]                  

martedì 14 ottobre 2008

Quel che rimane

Fukuda: e che tieni oggi?
Ginocchia:
niente. Hai presente il disagio giovanile?
Fukuda: guarda che mica sei più tanto giovine, te... 
Ginocchia:
ecco, appunto! Solo il disagio...                   

lunedì 13 ottobre 2008

Articolo 624

Oggi ho rubato un giorno.

[Per furto si intende in genere l'impossessamento indebito di un bene di proprietà altrui ed è l'azione tipica del ladro. Si riferisce classicamente alla sottrazione di un bene mobile in danno del legittimo proprietario, ed in tempi recenti la disciplina è stata estesa anche al furto di beni immateriali.]
           

giovedì 9 ottobre 2008

Del desiderio

Ginocchia: mpfh! Ogni tanto penso che ci vorrebbero due anni di pausa.
Fukuda: e da cosa?
Ginocchia:
un po' da tutto, credo...
Fukuda: già! Un paio d'anni in cui ti fai di tutto: donne, animali, cose, bottiglie... 
Ginocchia:
[incredulo] bottiglie? 
Fukuda: [con aria innocente] perchè no? 
          

mercoledì 8 ottobre 2008

Progetti per il futuro

A me, questa cosa qui, fa letteralmente impazzire. Mi piace il senso del movimento, la voglia che si respira. Di dire basta. Di dirlo veramente!            

martedì 7 ottobre 2008

Mano Verde

Correva l'anno millenovecentoottantatre.
Un anno che si traduce con trasloco.
Una casa nuova, una scuola nuova e la meraviglia di un giardino comunale proprio davanti al portone. Tredici alberi da esplorare con la perizia acuta del bambino grasso.
Lumache lasciavano strisce di bava su una panchina verde speranza.
Dalla finestra, lo chignon di mia nonna mi spiava tra le forcine. 
Quando il pazzo mi chiese se si poteva accomodare gli dissi: "Prego" e sedetti accanto a lui. Aveva capelli cortissimi e neri sulla testa quadrata, occhi minuscoli che si muovevano nervosi.
Cominciò a raccontarmi della sua vita. Cose che non ricordo bene, ora che è volato via un quarto di secolo. C'entravano delle formiche volanti e gli occhi delle pecore da gettare alle ragazze. Centravano i baffi dei suoi genitori, di entrambi.
Si accomiatò con un inchino e una sorta di benedizione: "Bravo, bravo! Sei degno dei miei frutti!", mi disse.
Nonna ancora vegliava, tra un dritto e un rovescio, coi ferri verdi numero cinque pronti come un'arma sul davanzale:
- Ma cu iera chissu?
- Giufà - le risposi.
- Acchiana, Giufaluzzo - disse facendo una smorfia che somigliava a un sorriso. 
Quel giorno imparai che la favole della nonna erano tutte storie vere. Che Giufà non era morto, si era solo trasferito a Torino alla fine degli anni sessanta, come altre migliaia di siciliani.
In fondo che ci voleva? Una valigia, un treno, un poco di speranza e tanta fortuna.  

Oggi, invece, ho imparato che le storie della nonna non sono morte. Vivono tutte, tranne 'Mano Verde' di cui ho perso la memoria.
              

lunedì 6 ottobre 2008

Peccati di gola

Perdo letteralmente la testa per la pizzutella.
Ma non è solo gola, direi piuttosto voluttà: uno smodato diletto dei sensi che mi rende incapace di qualsivoglia forma di autocontrollo.
Ne sgrano a chili, un acino alla volta, pensando sempre "Va bene, basta! Questo è l'ultimo per davvero!".
E poi ancora uno. E un altro. E tutto il grappolo, il raspo, pampini e vigna intera.

Smodato. E condannato a un maldipancia che dura l'intero mese di Settembre.   

venerdì 3 ottobre 2008

Bugiardino

Il principale effetto collaterale di flickr, sperimentato direttamente sulla mia persona, è l'induzione del desiderio insano di andare a vivere in posti assolutamente del cazzo. [Ma solo per un po', né!]

giovedì 2 ottobre 2008

Stancamente

Il difetto di trascinarsi lascia solchi profondi sulle dita dei piedi e qualche piaga sulle ginocchia che piombano in terra disorientate.
Fa più male questa forzata, infelice lentezza che il muoversi lesto in direzione di. Eppure oggi non sono capace di fare altro che girare a vuoto intorno a me: mi fanno centro il mio non essere, il non volere.
E saperlo, a volte, non basta.
[Tutta colpa dell'autunno, dicono i beninformati, o di quei maledetti, indigeribili funghi.]          

mercoledì 1 ottobre 2008

Pranzo di Ferragosto

A me, questa carica di spassose vecchiette ha fatto tanto ridere.
E poi niente.
È che quel genio della nonna, comunque, mi manca un sacco.



  
  

martedì 30 settembre 2008

La necessità di cambiare

Il dubbio che il mondo sia qualcosa che si sta rompendo anima questi miei giorni d'inizio autunno. Le parole suonano come una crepa che si allarga: ovunque si discute di crack e salvataggi, di crolli, caduta libera e ineluttabile tonfo.
L'odore del fango in cui stiamo piombando lo sento da qua.
Lo vedo riflesso negli occhi preoccupati della gente, nella cupa disperazione di certe parole affogate: ho sentito Adelina gridare -e lo stupore mi ha folgorato- parole arrabbiate che sono sembrate enormi e violente su quegli occhi miti di vecchia! E poi subito pentirsi e sgranare il rosario.
Anche la mia voce s'è fatta più cupa, come il futuro. E Dio non mi tiene le briglie.
Cambiare non può più essere un sogno.
S'è fatta necessità.
         

giovedì 25 settembre 2008

Passato remoto

La voce la riconosco immediatamente.
Anche se tace. Anche se si nasconde dietro la vibrazione metallica di un telefono.
Una voce di lentiggini sul naso e di idee per la testa quante le efelidi sulle spalle.
Le parole arrivano lente. Non c'è un dunque, non c'è un discorso da fare che renda il timbro incerto un po' più sicuro.
- Ma tu mi vuoi bene?
- Secondo te?
A volte basta solo il parlarsi, perché la voce è un filo di Arianna teso all'indietro nel tempo.
Parlare è non perdersi.
E sono vent'anni che non ci perdiamo. Nonostante il dolore di certi acciacchi dell'anima. E l'amore di traverso che fu anche peggio dell'odio.
Non ci perdiamo. Perché conosco a memoria i riflessi mogano del suo rosso e la curva mutata del mento che tutto perdona di me. Anche il male peggiore che ho fatto.
A volte ci sono persone così lontane da farti sentire a casa.
            

mercoledì 24 settembre 2008

Presagi

E andando avanti scoprire che stiamo predipitando all'indietro.


L'IPOTESI DI CALAMANDREI
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congressodell'Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn), a Roma l'11 febbraio 1950.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuoi fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuoi istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Pubblicato nella rivista Scuola Democratica, 20 marzo 1950.
                      

lunedì 22 settembre 2008

Biblioteconomia

Amo i libri.
Usati e con la costa consunta, che si vedano crepe profonde di apertura. Corteccia di carta. Circolo venoso di parole. Amo i libri segnati a matita di lato, sottolineati con l'irruenza di un sentimento che non si tiene nella testa. Amo le pagine gualcite di lettura. Stanche. Sfatte.
Amo chi mi presta libri amati. Volumi che portano sulla pelle di carta i segni di una passione: angoli piegati da un gesto maldestro, incapaci di star chiusi. Invitanti come cosce in cui infilarsi.
Inevitabilmente amo chi mi regala brandelli di vita da tenere stretti tra le dita.
Perché i libri sono femmine, molto più affascinanti se vissute.
La verginità è una qualità che non mi seduce.

[E chi tiene libri come pezzi da museo, somiglia più a un carceriere che a un amante]
        

giovedì 18 settembre 2008

Meteoropatia

Fukuda: ...
Ginocchia: mpfh...
Fukuda: già...
Ginocchia:
la vita non è una roba allegra, almeno non oggi...    

martedì 16 settembre 2008

Lessico familiare II

Ginocchia: [rabbioso] e comunque io lo trovo insopportabile, quel crucco! È sconcertante che la meni ancora con divorziati e sacramenti e tutte quelle balle lì. Con i problemi che ci sono al mondo! [Vi prego di notare la fine analisi socio-teologica!]
Adelina: ma se a Parigi c'erano anche quei due, come si chiamano già? 
Ginocchia: ma di chi parli? 
Adelina: di quelli lì famosi, Cosìcosà e sua moglie Bruna.
Ginocchia: chi?  
Adelina: Cosìcosà e sua moglie Bruna
Ginocchia: ma chi sono? amici tuoi? 
Adelina: [sospirando] ma no, il presidente francese e la nuova moglie.
Ginocchia: [allibito] intendi dire Sarkozy e Carla Bruni, forse?
Adelina: eh, quelli!                           

giovedì 11 settembre 2008

Afa di Settembre

Fukuda: senti, ma tu che lo sai -perchè tu lo sai, vero? Ecco, dicevo, tu che lo sai, dimmelo! Perfavore.
Ginocchia: scusa, ma non ho capito bene la domanda...
Fukuda: tu che lo sai...
Ginocchia: ebbasta!
Fukuda: vabbè, sarò breve. Dimmi perché?
Ginocchia: penso proprio di no!
Fukuda: e cioè?
Ginocchia: che non ce la possiamo fare!
               

mercoledì 10 settembre 2008

Di seconda generazione

Scendo di corsa, con addosso una specie di vergogna. Dall'etere [grazie, Elena!] arrivano notizie che sono nere per davvero.
Io non sono in grado di capire certe cose -sono un ingenuo in questo senso. Ho bisogno di vedere, di indignarmi, lentamente digerire, imparare ogni volta da zero che intorno a me rimane intatto un groviglio di stupidità, paura,
ignoranza ed egoismo.
Quando arrivo trovo solo un muro di fresco ripulito, nell'aria tracce vaghe di solvente.
Del mio essere in ritardo faccio cosa lieve vagando inerme per la piazza. Un sorso d'acqua al toro verde, un giro intorno al cavallo di bronzo, un passaggio lesto e indifferente su un paio di testicoli d'ottone incastonati sotto i portici. La fortuna, si sà, va anche corteggiata.
Poi mi perdo in un reticolo di foto lasciate in bellamostra sul lato destro della piazza, un sentiero da seguire passo passo, viso per viso, parola per parola.
I figli degli altri, ora, sono loro. Molto più vicini a me di quanto faccia pensare il colore della pelle, il taglio allungato degli occhi, l'abuso di consonanti nel parlato.
"Ammiro il coraggio dei miei...", mi commuove una scritta. Ché di coraggio ce ne vuole veramente tanto per lasciare tutto ciò che si conosce e andare via.
Ecco, mi capita di pensare che una società è civile quando è aperta all'accoglienza. Quando fa della differenza un'occasione. E non una scusa per alimentare la paura.
   

martedì 9 settembre 2008

Otto Settembre

Adelina non è nata in un giorno qualsiasi.
Ha un compleanno che mi ricorda che siamo una famiglia di gente povera, da sempre travolta dagli eventi. Una stirpe di deportati in Germania, rientrati poi per caso in autostop. Chi è rientrato, almeno. Viaggi che sono diventati un epopea da raccontare ai bambini d'estate. Che c'è anche un nome che somiglia al mio, tra i tanti su una lapide di un paesino del cazzo, tra i partigiani. Mi ricorda che siamo gente che ha scelto di stare dalla parte giusta, quando ha potuto scegliere qualcosa.
Perché esistono giusto e sbagliato, checché ne dicano quelli.
 
[Sì, lo so già da me, sono retorico! Ma questo revisionismo di merda mi ha rotto proprio il coglioni! E in questo post ho detto, nell'ordine, cazzo, merda e coglioni! E ora quasi mi sento quasi meglio!]
               

lunedì 8 settembre 2008

Lessico familiare

Adelina: ma ti sento triste, Ginocchia! Che ti succede? Non sei felice? Perché? Dillo ammàmmatùa.
Ginocchia: ohi mà! Ma manco tu mi pari proprio proprio felice.
Adelina: ma che c'entra? Io sono felice quando siete felici voi.
Ginocchia: ah! Stai messa bene, allora... 
Adelina: già!
Ginocchia: comunque, non c'è alcun motivo! Semplicemente, dalla genetica dell'infelicità non c'è scampo.
Adelina: [sospirando] buona questa vodka! Dove l'hai presa?
Ginocchia: te ne verso un'altra?
Adelina: direi che ci vuole [bicchieri che tintinnano].    

venerdì 5 settembre 2008

λευκός αίμα

Oggi ho incontrato la bellezza.
Il caso fortuito di un sorriso pieno di labbra in cui ha inciampato il mio sguardo distratto. Un viso gentile, ovale esatto dove si stagliava l'allegria comica degli zigomi alti. Il naso sottile e lieve era uno scivolo da risalire fino alla meraviglia
castanotondo degli occhi. Ritagli d'estate sulle pelle e sui vestiti.
Una mano affusolata si muoveva con noncuranza ad aggiustare la posa del foulard multicolore che le copriva il capo.
Un vezzo da diva che svelava la perfezione del cranio calvo. L'altra mano stava mollemente appesa all'albero delle vene: una fisiologica e due fiasche giallo chiaro. Sedeva con sensuale noncuranza su una poltroncina scura, parlava e rideva con grazia gioviale.
Lei, che non ha un nome, era di una bellezza emozionante.
Sopra di lei la scritta nera "Ematologia II" era come un insulto.
Forse non lo si può dire, ma con rabbia ho pensato "Porc***o!". 
         

giovedì 4 settembre 2008

Esercizi di automoderazione del vizio di lamentarsi I

1) Inserire la prima falange dell'indice destro nella morsa dei denti.
2) Iniziare a esprimere le lamentele in questione (tasto play). 
3) Serrare i denti forte forte.
4) [Facoltativo] Imprecare.

Esempio uno: 
Ma dico, ma sempre a me... ahi!!!
Esempio due:
Ci son delle volte che proprio io non... ahi!!!
            

mercoledì 3 settembre 2008

Pollice verde

Per non fare afflosciare i girasoli sul balcone, cresciuti forti nel caldo di agosto, ci vogliono quasi due litri d'acqua a sera.
Per tenere su me, almeno un paio di campari orange.
    

martedì 2 settembre 2008

Appunti portoghesi II

Porto mi sorprende in confidenza.
Mi ci muovo leggero, lasciando la noia delle mappe agli altri che mi navigano dietro. Alle spalle scivolano veloci le quattro vie principali, il vezzo liberty di una piazza, il barocco impertinente di certe chiese.
Il naso punta alla Ribeira. Ché io ho un certo fiuto per i bassifondi.
Un coro a tre voci mi dice di no. Anche la Lolla (leggasi Lonely Planet) sconsiglia di addentrarsi in quel dedalo.
Non ascolto e cammino.
È solo un altro nodo di vicoli da sbrogliare in scioltezza.
Case sfatte, porte rotte, bambini che scorazzano. Panni stesi ai balconi tra le bandiere del Porto, merda di cane sparsa per terra. Una ragazzina si asciuga i capelli sul balcone, tre vecchie mignotte mi sorridono, togliendomi la voglia per un po'. Un ciabattino s'arrovella su un tacco, appena dietro le due dita di polvere della vetrina, tre individui loschi confabulano sottovoce, la Madonna li osserva da una teca più sù. Un ferramenta impreca a una serratura, indaffarato in ginocchio. Poi mi vede e scappa a gambe levate.
Sfocio in Praca da Ribeira che è buio. I ristoranti hanno esondato di luci e tavolini il lungo Douro.
Villanova de Gaia mi guarda dall'altra parte e sorride: Porto è un po' Napoli, ma non dirlo a nessuno.

lunedì 1 settembre 2008

Sulla fine del mondo

Visto che stando a questo probabilmente non ci rimangono molti giorni prima di finire ingoiati da uno scarico di lavandino cosmico, ecco, mi premeva soltanto dirti che i tuoi libri non li ho rubati, ma te li restituirò nonappena qualche coscienzioso scenziato munito di sturalavandini galattico ci caverà fuori dal buco.
Che è come dire che. 
           

domenica 31 agosto 2008

De Sono Dantis

Basilica di Superga. Interno notte.
Il corpo centrale della basilica è un intricato intreccio di ponteggi, tiranti, impalcature. Rimane libero dalla foga dei restauri solo l'altare principale, dove ordinatamente sediamo in attesa.
Davanti a noi, appena un paio di candelabri e un leggio, poco discosti stanno un sintetizzatore e una tromba.
Quando l'avanzo di luci si spegne, Dante irrompe tra noi attraverso la voce di Mario Brusa. L'inferno è la tromba di Giorgi Li Calzi.
Ascolto rapito poco meno di un paio d'ore di Divina Commedia: la lonza, Caronte, Paolo e Francesca, Malacoda, Ulisse e Diomede, il conte Ugolino, Lucifero.
La musica accompagna le immagini generate dalla voce attenta e dalle parole potenti.
Usciti a riveder le stelle, il sollievo scroscia in un naturale applauso.
Poi, con un sorriso sornione, il calore della voce ci conduce in una breve scorribanda nel Purgatorio, Canto VI.
Che suona come scritto ieri.

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
...
Ché le città d'Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
...
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
                  

venerdì 29 agosto 2008

Disincentivi alla rottamazione

Con Giovanna se ne sono andati centocinquantunmilaottocentoventisette chilometri, un numero che non ricordo di estati, due autoradio e tre incidenti passivi -come se da ferma avesse il talento di attrarre a se i veicoli in movimento (l'ultimo dei quali l'ha definitivamente resa un rottame).
Il bagagliaio puzzava ancora ieri di mare, neoprene e bigattini. I segni del portabici sulla carrozzeria erano come cicatrici sulle ginocchia.
Giovanna, il nome, se l'era conquistato con gli anni, mica come Esterina che c'eravamo innamorati sin da subito.
Anni e strade sbagliate sbrogliati insieme, fughe fino al mare la domenica pomeriggio, travagliati viaggi a sud. Amici da portare ovunque, qualche scopata stretta stretta nell'abitacolo -ma poche, ché io sono troppo lungo per stare a mio agio dentro una Punto blu.
E ora mi tocca ricominciare da capo e innamorarmi di sua sorella Maruzzella.
 

giovedì 28 agosto 2008

Ricette di recupero per veleni ad azione lenta

Amalgama con pazienza alcune Lagne di Piamadre ai quattro Ricordi di Padre che hai avanzato domenica. Aggiungi piccole dosi di Fuggiasca (conosciuta più comunemente come Sorellauno) e manciate abbondanti di Isterismo patologico (che si trova negli scaffali ti tutti i supermercati sotto il nome fuorviante di Sorelladue). Leva di mezzo, meglio se con un mestolo di rame, i buoni consigli di Vecchianonna che si vengono a formare mescolando con il cucchiaio di legno. Infine aggiungi una spruzzata di Ziazitella.
È un veleno portentoso che io sono solito chiamare Famiglia.
In genere funziona, uccide in poco più di una trentina d'anni.
    

mercoledì 27 agosto 2008

Appunti portoghesi I

Lisbona è un sud.
È sud per la fatiscenza che esplode intensa tra il luccicare degli azulejos. Crepe di muri, intonaco in foglie d'autunno, porte di legno scrostato e assi sui vetri rotti. Il rio Tejo è un mare azzurro e lontano su cui poggiano gli intonaci lustri di colori vivaci. Domina un giallo che è luce, e un lieve odore di piscio diffonde per la città.
È un sud. E i vecchi siedono vestiti di nero all'ombra dei platani, accompaganti solo dal loro bastone e pronti a raccontarti una vita, se potessi solamente capire qualcosa di più che obrigado.
[Come tutti i sud impressiona per indecenza. Che non è sconcezza, piuttosto un modo di lasciare andare le cose, come se nulla valesse realmente la pena. Distrattamente. Il mondo che si sfascia dietro il paravento di qualche piazza lustra.]
Lisbona si muove lenta. Noi solo la si attraversa senza poterne prendere il ritmo di fado. Appena il sentore di qualcosa dentro che stride, come volesse frenare. Fermarsi. Come un intuito di struggimento.
Camminare lungo le vie rette di Baixa, inerpicarsi sui sentieri del Bairro Alto che sanno di casa, volare nello sferraglaire della linea ventotto.
Mi possiede una malinconia. Che sono io.
             

martedì 26 agosto 2008

Saudade

Il Portogallo -attraversato per vie interne, da sud a nord- ti lascia sulla fronte un segno raggiante di malinconia. Come un interminabile mercoledì delle ceneri.
La bellezza lustra delle piazze -Lisbona, Evora, Coimbra, Porto- si mischia alla decadenza dei vicoli scoscesi in cui mi perdo con facilità. Angoli di città paiono cadere a pezzi di nascosto, come se avessero pudore del loro essere dimenticati. Così la gente.
Scivola la campagna deserta sotto le ruote, i boschi di sughero e di eucalipto. Spruzzi d'oceano per un innata fame di mare -che somiglia un poco a quella comune di amore.
E poi è subito tornare.
                

mercoledì 13 agosto 2008

Finalmente

Ora, qui, è veramente il deserto.
L'eco dei miei passi nel corridoio -e il lento succedersi di porte chiuse- m'invoglia ad abbandonare prematuramente la nave dei penosi doveri quotidiani. Ritrovarmi naufrago di piazza, a gingillarmi con i ghiaccio di un campari orange e un arco verde di collina.
Ma sotto il portico, i bar rispondono con le serrande abbassate alla mia sete. La gente, voltando gli angoli e sparendo.
Mi piace questo silenzio di città d'agosto.
Fortuna che c'è un viaggio da preparare.
                     

martedì 12 agosto 2008

Undici

Le stelle, cazzo! Le stelle cadenti!
Mi sono sfuggite dalla memoria di soppiatto, scomparendo come lucciole tra l'erba. Il dieci agosto l'ho dimenticato, neanche fosse il giorno del mio compleanno.
Ho perso il conto del tempo, distrattamente, aspettando di poter vedere Valentina Vezzali danzare nervosa come una vespa su una striscia di terra artificiale.
Affondi come stelle cadenti sull'incalzare dei nebulosi colpi avversari. Allora, all'ultima stoccata, ho esprtesso il mio desiderio.
La notte del dieci agosto è arrivata l'undici mattina.
                 

venerdì 8 agosto 2008

Prefestivo

Un pomeriggio intero è volato via al sindacato, passando i miei guai al setaccio e stipando tristezze altrui nel fondo nero delle orecchie. Una foresta pluviale di carta e speranze vane di normalità.
Sospiro e indìco lo sciopero generale da me stesso. Picchetto e mi tengo fuori. Da tutto, soprattutto da me.
Fuggo cantando: "Non t'impicciare più della tua vita che non sono affari tuoi!". Ma questa volta, forse, sto tra quelli fortunati.
    

mercoledì 6 agosto 2008

Scomposto

Oggi, inaspettatamente, ho ricevuto in regalo dei ricordi.
Alcuni erano miei, smarriti sotto la vita che si accumula.
Un oggi qualsiasi di quasi nove anni fa compravo dei colori e della carta spessa, matite grasse e gommapane. Il tempo scorreva lento e caldo in una casa ancora piena di tutti. Si aspettava qualcosa che finiva lentamente. E io, nella luce troppo viva sui volti scarni, tracciavo linee che non avrei chiuso mai più.
Che poi lo so che queste quattro righe sono incomprensibili. Allora pigia qui e ascolta Arancione. Lui è un amico mio fetente che le cose le dice molto meglio di me.