martedì 30 settembre 2008

La necessità di cambiare

Il dubbio che il mondo sia qualcosa che si sta rompendo anima questi miei giorni d'inizio autunno. Le parole suonano come una crepa che si allarga: ovunque si discute di crack e salvataggi, di crolli, caduta libera e ineluttabile tonfo.
L'odore del fango in cui stiamo piombando lo sento da qua.
Lo vedo riflesso negli occhi preoccupati della gente, nella cupa disperazione di certe parole affogate: ho sentito Adelina gridare -e lo stupore mi ha folgorato- parole arrabbiate che sono sembrate enormi e violente su quegli occhi miti di vecchia! E poi subito pentirsi e sgranare il rosario.
Anche la mia voce s'è fatta più cupa, come il futuro. E Dio non mi tiene le briglie.
Cambiare non può più essere un sogno.
S'è fatta necessità.
         

giovedì 25 settembre 2008

Passato remoto

La voce la riconosco immediatamente.
Anche se tace. Anche se si nasconde dietro la vibrazione metallica di un telefono.
Una voce di lentiggini sul naso e di idee per la testa quante le efelidi sulle spalle.
Le parole arrivano lente. Non c'è un dunque, non c'è un discorso da fare che renda il timbro incerto un po' più sicuro.
- Ma tu mi vuoi bene?
- Secondo te?
A volte basta solo il parlarsi, perché la voce è un filo di Arianna teso all'indietro nel tempo.
Parlare è non perdersi.
E sono vent'anni che non ci perdiamo. Nonostante il dolore di certi acciacchi dell'anima. E l'amore di traverso che fu anche peggio dell'odio.
Non ci perdiamo. Perché conosco a memoria i riflessi mogano del suo rosso e la curva mutata del mento che tutto perdona di me. Anche il male peggiore che ho fatto.
A volte ci sono persone così lontane da farti sentire a casa.
            

mercoledì 24 settembre 2008

Presagi

E andando avanti scoprire che stiamo predipitando all'indietro.


L'IPOTESI DI CALAMANDREI
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congressodell'Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn), a Roma l'11 febbraio 1950.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuoi fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuoi istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

Pubblicato nella rivista Scuola Democratica, 20 marzo 1950.
                      

lunedì 22 settembre 2008

Biblioteconomia

Amo i libri.
Usati e con la costa consunta, che si vedano crepe profonde di apertura. Corteccia di carta. Circolo venoso di parole. Amo i libri segnati a matita di lato, sottolineati con l'irruenza di un sentimento che non si tiene nella testa. Amo le pagine gualcite di lettura. Stanche. Sfatte.
Amo chi mi presta libri amati. Volumi che portano sulla pelle di carta i segni di una passione: angoli piegati da un gesto maldestro, incapaci di star chiusi. Invitanti come cosce in cui infilarsi.
Inevitabilmente amo chi mi regala brandelli di vita da tenere stretti tra le dita.
Perché i libri sono femmine, molto più affascinanti se vissute.
La verginità è una qualità che non mi seduce.

[E chi tiene libri come pezzi da museo, somiglia più a un carceriere che a un amante]
        

giovedì 18 settembre 2008

Meteoropatia

Fukuda: ...
Ginocchia: mpfh...
Fukuda: già...
Ginocchia:
la vita non è una roba allegra, almeno non oggi...    

martedì 16 settembre 2008

Lessico familiare II

Ginocchia: [rabbioso] e comunque io lo trovo insopportabile, quel crucco! È sconcertante che la meni ancora con divorziati e sacramenti e tutte quelle balle lì. Con i problemi che ci sono al mondo! [Vi prego di notare la fine analisi socio-teologica!]
Adelina: ma se a Parigi c'erano anche quei due, come si chiamano già? 
Ginocchia: ma di chi parli? 
Adelina: di quelli lì famosi, Cosìcosà e sua moglie Bruna.
Ginocchia: chi?  
Adelina: Cosìcosà e sua moglie Bruna
Ginocchia: ma chi sono? amici tuoi? 
Adelina: [sospirando] ma no, il presidente francese e la nuova moglie.
Ginocchia: [allibito] intendi dire Sarkozy e Carla Bruni, forse?
Adelina: eh, quelli!                           

giovedì 11 settembre 2008

Afa di Settembre

Fukuda: senti, ma tu che lo sai -perchè tu lo sai, vero? Ecco, dicevo, tu che lo sai, dimmelo! Perfavore.
Ginocchia: scusa, ma non ho capito bene la domanda...
Fukuda: tu che lo sai...
Ginocchia: ebbasta!
Fukuda: vabbè, sarò breve. Dimmi perché?
Ginocchia: penso proprio di no!
Fukuda: e cioè?
Ginocchia: che non ce la possiamo fare!
               

mercoledì 10 settembre 2008

Di seconda generazione

Scendo di corsa, con addosso una specie di vergogna. Dall'etere [grazie, Elena!] arrivano notizie che sono nere per davvero.
Io non sono in grado di capire certe cose -sono un ingenuo in questo senso. Ho bisogno di vedere, di indignarmi, lentamente digerire, imparare ogni volta da zero che intorno a me rimane intatto un groviglio di stupidità, paura,
ignoranza ed egoismo.
Quando arrivo trovo solo un muro di fresco ripulito, nell'aria tracce vaghe di solvente.
Del mio essere in ritardo faccio cosa lieve vagando inerme per la piazza. Un sorso d'acqua al toro verde, un giro intorno al cavallo di bronzo, un passaggio lesto e indifferente su un paio di testicoli d'ottone incastonati sotto i portici. La fortuna, si sà, va anche corteggiata.
Poi mi perdo in un reticolo di foto lasciate in bellamostra sul lato destro della piazza, un sentiero da seguire passo passo, viso per viso, parola per parola.
I figli degli altri, ora, sono loro. Molto più vicini a me di quanto faccia pensare il colore della pelle, il taglio allungato degli occhi, l'abuso di consonanti nel parlato.
"Ammiro il coraggio dei miei...", mi commuove una scritta. Ché di coraggio ce ne vuole veramente tanto per lasciare tutto ciò che si conosce e andare via.
Ecco, mi capita di pensare che una società è civile quando è aperta all'accoglienza. Quando fa della differenza un'occasione. E non una scusa per alimentare la paura.
   

martedì 9 settembre 2008

Otto Settembre

Adelina non è nata in un giorno qualsiasi.
Ha un compleanno che mi ricorda che siamo una famiglia di gente povera, da sempre travolta dagli eventi. Una stirpe di deportati in Germania, rientrati poi per caso in autostop. Chi è rientrato, almeno. Viaggi che sono diventati un epopea da raccontare ai bambini d'estate. Che c'è anche un nome che somiglia al mio, tra i tanti su una lapide di un paesino del cazzo, tra i partigiani. Mi ricorda che siamo gente che ha scelto di stare dalla parte giusta, quando ha potuto scegliere qualcosa.
Perché esistono giusto e sbagliato, checché ne dicano quelli.
 
[Sì, lo so già da me, sono retorico! Ma questo revisionismo di merda mi ha rotto proprio il coglioni! E in questo post ho detto, nell'ordine, cazzo, merda e coglioni! E ora quasi mi sento quasi meglio!]
               

lunedì 8 settembre 2008

Lessico familiare

Adelina: ma ti sento triste, Ginocchia! Che ti succede? Non sei felice? Perché? Dillo ammàmmatùa.
Ginocchia: ohi mà! Ma manco tu mi pari proprio proprio felice.
Adelina: ma che c'entra? Io sono felice quando siete felici voi.
Ginocchia: ah! Stai messa bene, allora... 
Adelina: già!
Ginocchia: comunque, non c'è alcun motivo! Semplicemente, dalla genetica dell'infelicità non c'è scampo.
Adelina: [sospirando] buona questa vodka! Dove l'hai presa?
Ginocchia: te ne verso un'altra?
Adelina: direi che ci vuole [bicchieri che tintinnano].    

venerdì 5 settembre 2008

λευκός αίμα

Oggi ho incontrato la bellezza.
Il caso fortuito di un sorriso pieno di labbra in cui ha inciampato il mio sguardo distratto. Un viso gentile, ovale esatto dove si stagliava l'allegria comica degli zigomi alti. Il naso sottile e lieve era uno scivolo da risalire fino alla meraviglia
castanotondo degli occhi. Ritagli d'estate sulle pelle e sui vestiti.
Una mano affusolata si muoveva con noncuranza ad aggiustare la posa del foulard multicolore che le copriva il capo.
Un vezzo da diva che svelava la perfezione del cranio calvo. L'altra mano stava mollemente appesa all'albero delle vene: una fisiologica e due fiasche giallo chiaro. Sedeva con sensuale noncuranza su una poltroncina scura, parlava e rideva con grazia gioviale.
Lei, che non ha un nome, era di una bellezza emozionante.
Sopra di lei la scritta nera "Ematologia II" era come un insulto.
Forse non lo si può dire, ma con rabbia ho pensato "Porc***o!". 
         

giovedì 4 settembre 2008

Esercizi di automoderazione del vizio di lamentarsi I

1) Inserire la prima falange dell'indice destro nella morsa dei denti.
2) Iniziare a esprimere le lamentele in questione (tasto play). 
3) Serrare i denti forte forte.
4) [Facoltativo] Imprecare.

Esempio uno: 
Ma dico, ma sempre a me... ahi!!!
Esempio due:
Ci son delle volte che proprio io non... ahi!!!
            

mercoledì 3 settembre 2008

Pollice verde

Per non fare afflosciare i girasoli sul balcone, cresciuti forti nel caldo di agosto, ci vogliono quasi due litri d'acqua a sera.
Per tenere su me, almeno un paio di campari orange.
    

martedì 2 settembre 2008

Appunti portoghesi II

Porto mi sorprende in confidenza.
Mi ci muovo leggero, lasciando la noia delle mappe agli altri che mi navigano dietro. Alle spalle scivolano veloci le quattro vie principali, il vezzo liberty di una piazza, il barocco impertinente di certe chiese.
Il naso punta alla Ribeira. Ché io ho un certo fiuto per i bassifondi.
Un coro a tre voci mi dice di no. Anche la Lolla (leggasi Lonely Planet) sconsiglia di addentrarsi in quel dedalo.
Non ascolto e cammino.
È solo un altro nodo di vicoli da sbrogliare in scioltezza.
Case sfatte, porte rotte, bambini che scorazzano. Panni stesi ai balconi tra le bandiere del Porto, merda di cane sparsa per terra. Una ragazzina si asciuga i capelli sul balcone, tre vecchie mignotte mi sorridono, togliendomi la voglia per un po'. Un ciabattino s'arrovella su un tacco, appena dietro le due dita di polvere della vetrina, tre individui loschi confabulano sottovoce, la Madonna li osserva da una teca più sù. Un ferramenta impreca a una serratura, indaffarato in ginocchio. Poi mi vede e scappa a gambe levate.
Sfocio in Praca da Ribeira che è buio. I ristoranti hanno esondato di luci e tavolini il lungo Douro.
Villanova de Gaia mi guarda dall'altra parte e sorride: Porto è un po' Napoli, ma non dirlo a nessuno.

lunedì 1 settembre 2008

Sulla fine del mondo

Visto che stando a questo probabilmente non ci rimangono molti giorni prima di finire ingoiati da uno scarico di lavandino cosmico, ecco, mi premeva soltanto dirti che i tuoi libri non li ho rubati, ma te li restituirò nonappena qualche coscienzioso scenziato munito di sturalavandini galattico ci caverà fuori dal buco.
Che è come dire che.