venerdì 28 settembre 2007

SMS

In support of our incredibly brave friends in Burma: may all people around the world wear red shirt on Friday, September 28. Please forward!

[È poco meno di neinte. Ma io l'ho messa.]

giovedì 27 settembre 2007

Tappabuchi

Ma è un buco quello che ho qui nella testa? Quello da cui scivolano fuori cose che non vorrei dire? Ricordi da dimenticare? E questa roba appiccicaticcia sulla faccia? Profuma di granchio ed ha un sapore amarostico. Sono i pensieri che non vorrei pensare?
- Donne! È arrivato l'arrotino!
Ma a me servirebbe solo un buon stagnino.

mercoledì 26 settembre 2007

Nobel

Il mio talento è l'aspettare.
E la curiosità dello scienziato che mi fa sbiancar le tempie.
È caduto il cielo, stanotte, sul mio tetto di coppi rossi. Come risposta nuova ad una domanda vecchia, che faceva eco tra i palazzi ocra.
Il cielo è fatto d'acqua.

martedì 25 settembre 2007

Salvagente

Uomo in [alto]mare!
Uoooomo in [alto]mare!
Uoooomoooo in [alto]mare!
Uoooomoooo in [alto]maaaare!
Uoooomoooo in [alto]maaaareeee!
Oh! No, niente! Non c'è più nessuno!


[Se qualcuno mi venisse a salvare, gliene sarei anche grato. Sommersi non si sta poi male, ma comincio ad avere voglia di un bicchiere d'aria!]

lunedì 24 settembre 2007

Dita

Le dita non sanno resistere. Cercano la consistenza appiccicosa della marmellata sul bordo del vasetto. Pesche e fichi. Che è come aver messo l'estate dentro un barattolo.
La meraviglia, certe volte, passa anche dalla bocca.
Guardo la signora Piva di sbieco. C'è del genio tra quei capelli di rame. E nelle mani -con cui governa il sambuco ed il gelso per farne confetture dense e scure- sapienza di maga.
Intanto, l'estate muore su quest'aia piena di gatti. Muore di domenica, accasciata su colline selvagge di ontani e carpini. Ed io, che non sono formica, faccio lucido con le dita il fondo del mio barattolo d'estate.
All'inverno ci penserò col freddo.

giovedì 20 settembre 2007

Rivoluzione naturale

Da una stanza all'altra della microcasa.

Prof: [gridando] ginocchia, presto, corri! Aiuto!
Ginocchia: [serafico] che succede?
Prof: [allarmata] Aiuto! M'è scoppiata la patata!!
Ginocchia: [terrorizzato] Ommioddio!!

La scena in cucina è raccapricciante.
La Prof sta accucciata vicino al portaverdure. Da una patata, scorre sul pavimento un liquido oleoso e mefitico. Per fortuna, però, le cipolle di Tropea sono salve. Per fortuna, soprattutto, non si tratta della patata a cui avevo pensato io!
Intanto, un'altra pata-bomba mi viene passata con delicatezza d'artificiere. È nera e molliccia.
Filo blu o filo rosso?
Ma ci vuole il genio di Tom Cruise per disinnescare un ordigno del genere. Genio che io non posseggo. E poi questo non era un film d'azione. Era una tragicommedia, fino a ieri. 
Inutile dire che l'eroe che c'è in me ha lasciato detonare la pata-bomba nel cestino dell'immondizia e si è armato fino ai denti di mocio vileda per vendicare una Prof affranta.

[Ma inizio a sospettare che la ribellione della natura contro l'umanità stia cominciando proprio dalle patate.]

mercoledì 19 settembre 2007

Cane

M'imbriglia questo mondo di troppi cavilli. E ingiustizie.
Che sento il laccio al collo stringere forte e una specie di rabbia ferirmi i giorni.
E non so cosa fare.
O forse, solo, non sono fatto per stare in mezzo alla gente.

martedì 18 settembre 2007

Rette parallele

La strada di casa è una fila di mostri a sei zampe. Lavori di metropolitana scavano buchi per terra da cui la città vomita colonne immobili di auto scure, a forma di insetto. Dorsi lucidi di pioggia appena spiovuta.
Io mi chiudo in Maruzzella -la macchina verde della Prof- che è cavalletta e canta solo canzoni napoletane. Ti sei fatta 'na veste scullata. È insetto che salta, soprattutto le code, scivolando nel giallo della corsia dei bus, inventando scorciatoie in vie secondarie. Tagli paralleli nel reticolo delle strade intasate.
Finisco così per lasciarmi guidare dai vuoti in una via di vecchi palazzi e grandi portoni. Pochi negozi. Una signorina ad ogni angolo. Belle di gambe tornite e scollature profonde, alcune. Di sorrisi gentili e curiosità, altre.
Una strada ad imbuto che non ha vie di fuga.
Maruzzella si arrende al passo di cane che deve tenere.
Femmena, tu sì 'na malafemmena.
Qualcuno davanti a noi comincia a suonare il clacson. Ossessivamente. Un finestrino si abbassa. Grida. Le solite.
- Muoviti! Coglione! Non vedi che non c'è nessuno!
- Oh, scusa! Mi dispiace. Ma non vedi che io sto andando a mignotte? - è la sincera risposta del capofila-lumaca mentre apre la portiera ad occhiali da sole e tacchi da dodici.

lunedì 17 settembre 2007

Affare fatto

Questa giornata inizia di plastica bianca. Come stare dentro una scatola piena di campioncini di profumeria.
Sarà che è lunedì.
Faccio le cose di sempre. Ma non fanno male come sempre, tutto mi appare sminuito e ridicolo. Affannato e ridicolo.
Forse è solo il sonno. Sì, sono ancora addormentato. Che la notte sto sù e penso alle cose che di giorno non esistono.
Ai ragni che nascondo alla furia del piumino. Li faccio scappare verso il sicuro di un angolo alto, dove solo io posso arrivare. Da lì organizziamo la resistenza.
Voglio una ragnatela che mi protegga dagli incubi. Una ragnatela di seta fine come un merletto intorno al soffitto.
E poi rivoglio di nuovo qui tutti i miei animali: mio fratello l'orso marsicano ed il gorilla di montagna.

Avevo un orso, da piccolo, un orso di pezza come tutti i bambini. Però il mio era della provincia di l'Aquila. Un orso di quelli a cui si scucivano gli occhi e si allungavano le orecchie a furia di trascinarseli dietro, ovunque. Ade gli rammendava le ferite con stoffe colorate e sostituiva occhi di vetro con bottoni di nero lucido. Lui, intanto, mi raccontava la vita degli orsi. Del significato dei segni lasciati con gli artigli sugli alberi, dei favi di miele, della sentanza di morte che pendeva su Winnie the Poho per avere vilipeso il sacro ordine dei plantigradi.
Era mio fratello, l'orso. In una casa piena di sorelle, un fratello è importante.
Noi siamo gente che non sa trattenere. Gente di libertà.
Così, quando un giorno Ade mi disse che si raccoglievano dei giochi per i bimbi poveri, scorsi nell'occhio a bottone di Orso un riflesso di curiosità.
E non lo trattenni.
Solo, gli feci cucire ben stretto quell'occhio, gli misi indosso la mia tuta gialla -quella portafortuna- e gli diedi tre consigli di paglia.
Non ti infilare mai sotto i letti di notte, era il primo. Degli altri ho perso memoria.
Partì su una nave a forma di scatola in cui si erano imbarcati anche qui, quo e qua.
Ed io non dormii per sette notti.
Poi crollai di sonno sul lavandino.
 
Quando tornò, qualche mesi dopo, Orso si era trasformato in un cuscino. Sottile e tosto, con addosso una federa di lino ricamata dalla nonna. Ma di notte si tramutava di nuovo in un orso. Non più di pezza, ora, ma una bestia di peli e calore e fiato che puzzava.
Da allora viviamo insieme, io e Orso. Ogni notte insonne la dividiamo in un incrocio di chiacchiere e grugniti e bestemmie.
Sta sempre lì al suo posto sul letto.
Che quando mi capita di fare all'ammore in camera -prediligo la cucina, di mio, forse per colpa di un'irragionevole ingordigia- lo prendo e lo lancio nel corridoio.
Certe cose si fanno in privato. O almeno, a me piace così.
- Ma che stai facendo?
- Oh, nulla! Non ti preoccupare, cara..
- Ma il cuscino..
- Il tuo basta e avanza..
- Ahi..
- Ops..
- Aah..
- Mmh..

E poi penso che sia una gran fortuna avercelo, un orso con cui parlare.
Soprattutto quando si è così stolti da chiedere tre giorni di insonnia. E tanto fortunati da riuscire a ottenerli.

venerdì 14 settembre 2007

Sotto le pietre

Oggi non ho voglia di raccontare quel che passa per la testa.
Oggi la voce trema.
E nemmeno me lo aspettavo.
No. Proprio no!
Smuovo granelli di memoria per far cortina. E non vedere. E non farmi vedere.
Ci trovo sotto solo qualche paguro.
Che io i paguri li ho incontrati da grande. Da talmente grande che mi vergogno di dire quando.
Ma ho amato con fervore infantile i miei Calcinus tubularis per la loro codardia e i calzini a righe bianche e rosse. E il Dardanus arrossor  per le borchie sulle chele e la faccia da aragosta. Dei Clibanarius erythropus ,invece,mi faceva impazzire il verde oliva e l'attitudine ad arrampicarsi.
E la voracità.
Che una volta gli dato da mangiare broccoli, salsiccia e olive nere e li ho visti strafocarsi che manco a un matrimonio.
Stavamo bene tra noi, bestie di conchiglia e curiosità.
Poi sono arrivati i quattro cavalieri dell'apocalisse (Pagurus anachoretus): Fame, Guerra, Pestilenza e Morte.
E tutto è andato in vacca.
Cazzo!

giovedì 13 settembre 2007

Settembre Musica

Il Palaisozaki è bello.
E lo avrà di certo pensato anche Isozaki portandolo a termine.
"Chiamatelo pure Palaisozaki, che questo m'è riuscito bello assai!", mi pare proprio che disse guardandolo lungo il pollice teso [Isozaki è della provincia di Benevento, checché ne pensi il mondo].
Che poi Palaisozaki è un bel nome. È molto meglio di Palastampa che poi è diventato Mazdapalace che poi è diventato salcazzo ed io quando dovevo andare ad un concerto non sapevo mai dove minchia dirigermi.
Ora sì, invece.
In quella specie di sala operatoria tutta alluminio e plastica trasparente.
Che se non fosse stato per quei cazzoni che hanno lasciato quattro luci accese in fondo alla sala -esattamente sopra il mio illuminato cranio- per le prime quattro canzoni, non ci avrei messo appunto quattro canzoni ad entrare in 'atmosfera concerto'. Che se ci fosse stato Isozaki presente, li avrebbe di certo obbligati a fare seppuku.
Poi c'è che gli Avion Travel non sono male. E mastro Servillo ci sa fare con la gente. Ed io, prima di ieri sera, non avevo idea di come si potessero fondere una Gibson Les Paul, un violoncello e una marimba. Che non sapevo manco che cazzo fosse una marimba. Ma poi sul battere e levare del piede del mio vicino barbuto ho capito che è così che si fa, così si fondono cose che sembrano non avere nulla in comune tra loro. In battere e levare e sorridere.
E poi c'era la Prof che cacciava dei fischi che neanche un carrettiere. Io la guardavo e non potevo non ridere. Che io non so fischiare -oh, non so fare poroprio un cazzo io!- ma se fossi capace vorrei farlo così. Un suono acuto che fende l'aria e buca le orecchie.
Non c'è niente da fare. Sono un sacco sexy, le femmine, quando fischiano.
Un po' meno quando fischiano a Samuele Bersani, che poveretto ha avuto un bel da fare per tenere la gente dopo quell'onda lunga di strumenti e suoni e parole e facce.
Ma è simpatico e parla a vanvera con un accento di Cesena che non si capisce. E mischia le parole in un modo che mi incuriosisce.
Ed il fatto che ora abbia idee confuse e sbadigli davanti al monitor è da imputarsi, come sempre, ai vigili urbani.

mercoledì 12 settembre 2007

Mineralogia del cuscino

È che non sogno più!
E questa cosa mi fa gran rabbia.
Appena mi metto orizzontale m'addormento come un sasso. Ebbrezza di vita minerale, come una specie di coma di cui ricordo solo che mi sono voltato nove volte nel letto.
So che son nove perché poi, la mattina, mi tocca svoltarmi di dosso le lenzuola. Nove giri su me stesso per cominciare di capogiro.
E lo splendido naso di cane che avevo trovato ieri è sparito. E un altro altrettanto bello non lo sono riuscito a trovare.
Mi piaceva sognare e svegliarmi già stanco. Vita vissuta di sogni.
Queste notti da crisoberillo le cambierei volentieri con sette giorni di insonnia.

martedì 11 settembre 2007

Contro il muro

Servirà a qualcosa, tutto questo naso?
Oltre a fare ombra alle troppe labbra e a reggere il filo di metallo degli occhiali. Oltre a esser vessillo di mascolinità ['tali nasu, tali fusu', recita il mio proverbio preferito], il naso mi serve per sentire. Cazzo!
Non odori, ma persone.
E smettila di chiederti perché io dica certe cose proprio a te. La risposta è semplice e già la conosci.
Parlo con te perché so che tu comprendi. E non si tratta solamente di capire, ma di qualcosa di più.
È qualcosa che c'entra col sentire, con l'aver provato. Non parole lasciate cadere nel vuoto, ma addosso a te che ascolti e che vivi, a me che balbetto e rigurgito bile.
E non mi chiedere come diavolo faccia a saperlo.
Solo una questione di naso.
Di questo naso che ha voglia di duelli.

lunedì 10 settembre 2007

Auspici d'inizio settimana

Oggi è lunedì.
E tanto basta.
Uno di quei giorni che iniziano col mal di testa incorporato, con le lenzuola sulla faccia alla prima luce, la sveglia che vola contro il gatto che miagola. Il caffè bruciato,  la puzza di gomma che frigge il cervello, la torta che si suicida sul pavimento [Ade fa torte che diventano friabili solo di lunedì].
La macchina ha cambiato posto di notte e dall'orologio spariscono venti minuti per ritrovarla.
Fa freddo. E ho ancora solo magliette leggere da mettere una sull'altra.
Il mal di pancia.
Una dozzina di vaffanculo per via.

Ci sono giorni che la vita mi accascia.

venerdì 7 settembre 2007

Bulloni

Datemi farina e un goccio acqua, un pizzico di lievito, sale e pepe quanto basta. E la birra. Una spruzzata e il resto sgolato mescolando.
Datemi 'sta roba qui e vi impastellerò il mondo.
Che poi si sa, impastellati e fritti son buoni anche i bulloni!

giovedì 6 settembre 2007

Piano sicurezza

Io mi sento insicuro. Profondamente insicuro.
Insicuro che a volte mi trema la voce e se penso al futuro mi si gira la pancia.
Ma non sono i lavavetri a farmi paura. Non sono i rumeni che vivono nel mio stesso palazzo, i magrebini di cui invidio i baffi o i negri che spacciano qualche centinaio di metri più in là [svolgendo, tra l'altro, un'utilissima attività sociale].
E poi diciamolo, negri! che nero puzza di razzismo inamidato tre volte di più!
Non sono certo i graffittari -tranne quello stronzo che ha scritto dietro casa di Ade 'I love my life because my life is Nena' a cui ficcherei la bomboletta su per il culo- o quei quattro tossici che fanno moneta al parcheggio. Neanche quel tale che per campare cerca di vendere barzellette ai passanti.
Non mi fanno sentire insicuro gli sguardi truci degli albanesi sul bus, i venditori di rose, gli zingari, le mignotte, il pezzo di merda che mi ha fottuto l'autoradio, quel povero pazzo che si strilla quando non gli offrono le sigarette.
A farmi paura è tutto il resto.
È questo lavoro su cui non posso investire -per quanto possa essere bravo- perché qualcuno si diverte a guardarci camminare in equilibrio precario.
È l'incubo di star male -che la mutua non sono i sette giorni di febbre a gennaio- e di lasciare chi amo indifeso [così come accadde a me]. È il non poter pensare a una casa, una specie di famiglia, qualche nano ricciuto. Perché io, alle spalle, non ho proprio nessuno. Ma le ho larghe, e si va avanti a naso.
Mi fa paura la schiavitù di chi mi telefona ogni giorno per tentare vendermi qualcosa, una catena che non dimenticherò mai.
Mi terrorizza non essere libero di morire, né di scopare con chi voglio, come voglio. Non essere libero di dire. E di sapere.
Mi fa paura questa sottrazione subdola di diritti e dignità.
[E l'unico diritto che rimarrà, quando si saranno ripresi tutto indietro, sarà il diritto alla rivoluzione!].
E mi fa paura la gente che cammina e non vede.

Quindi, il vostro piano sicurezza, mettetevelo su per il culo!

mercoledì 5 settembre 2007

Ma noi, avevamo bisogno di SOS tata?

Eravamo un piccolo esercito di bambini, tantotempofa.
Allineati per età e per altezza, la nonna ci caricava sul rapido per Catania, cambiava per Enna, e ci portava sani e salvi fino al posto dei fichi d'india, dove ci teneva per quasi tutta l'estate.
C'erano Sorellauno e Sorelladue, Cuginobelga e Cuginabionda. E lì, decine di altri cugini di ogni ordine e grado.
E c'ero io, quasi il più piccolo.
Sempre seduto sui gradini davanti casa.
Tre gradini. Testariccia, ginocchiavalve. Pensieri persi a seguire le tracce delle formiche.
Nonna schiacciava le mandorle su un coccio di marmo. Da un lato le bucce verdi, dall'altro la minnula appuntita. Era un suono di legno quello che faceva eco dal secchio.
Il sole ammazzava i gatti.
Solo le vespe si muovevano. Ma piano anche loro.
Cuginabionda prendeva complimenti da tutte le vecchie, baffute prozie.
- Che beddra bambina! Tutta bionda! Non come Sorelladue di Ginocchiaapunta, che tiene i baffi come noi! E quegli orrendi occhiali quadrati!!
Allora succedeva che Sorelladue piangesse. Che i bambini non sono mica sordi.
Ed io, allora, smettevo di giocare con Cuginabionda e me ne andavo solo, a caccia di lucertole. Che stare solo era un vizio che già avevo.
Cuginobelga sapeva i miei posti -che di solito dividevamo quando c'era da fare a sassate con altri, agguerriti bambini- veniva a cercarmi e mi menava sodo. Mi lasciava livido e piangente, perchè avevo fatto piangere sua sorella, Cuginabionda.
La nonna intanto sbucciava fichi d'india.
Infine arrivava Sorellauno -più grande di tutti quel tanto che bastava- che vedendomi addosso i segni di troppe botte, prendeva Cuginobelga per i capelli e se lo trascinava in giro a pulire per terra.
[Quanto invidio la cretività di Sorellauno!].
E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.
Quando il sole calava la nonna ci chiamava per cena. Melanzane.
E attorno al tavolo -affamati- si rideva di nuovo tutti insieme.

martedì 4 settembre 2007

Esoscheletro

A sfilarmi il sorriso dai denti c'è il ferro di questa chiave che graffia il fondo delle tasche. Un cassetto chiuso con tre giri di chiavistello.  Uno per ogni anno passato. Fogli sparsi, incompleti, macchiati, ed altri giochi di parole interrotte.
Ché conosco a memoria ogni verbo, ogni risata celata, ogni sospiro diviso.
E ancora trasalisco per un nonnulla.
La mia prigione è l'idea di com'era, di come sarebbe andata.

lunedì 3 settembre 2007

Roumiage de Setembre

La Provenza, io, non so neanche bene dove sia. Tanto meno quell'entità fantastica che chiamano Occitania.
So, però, che lì si parla una lingua che nessuno più parla, ma che non vuole essere dimenticata. Che c'è gente solida, fatta della stessa materia selvaggia delle montagne in cui vive, che cerca di salvare brandelli di storia con una festa lunga una settimana.
Io, di questa gente, non conosco nulla, salvo le facce chiare e squadrate, gli occhi grandi e veloci e vivaci. Che sono occhi di gente che sa ricordare.
E poi so che raccontano storie. Storie di cose vecchie che non sono più. Che forse non saranno mai più.
In questa lingua che non conosco -gentilmente tradotta da chi mi sedeva affianco- ho ritrovato le storie di casa. Le storie di mia nonna. Solo i nomi erano diversi. 'U zi Turiddu era Giuanin, ieri, e Giufà si faceva chiamare Bepin. Stessa l'arguzia e le miserie, stessa la forza evocativa, il mistero.
Storie di gente. Di uomini. Diversa solo nei suoni, appena nei colori.
Allora viene facile davvero pensare che le differenze le vede solo chi non sa guardare.


[E poi quanto si è ballato, e riso, e bevuto, e cantato, e..]