domenica 31 agosto 2008

De Sono Dantis

Basilica di Superga. Interno notte.
Il corpo centrale della basilica è un intricato intreccio di ponteggi, tiranti, impalcature. Rimane libero dalla foga dei restauri solo l'altare principale, dove ordinatamente sediamo in attesa.
Davanti a noi, appena un paio di candelabri e un leggio, poco discosti stanno un sintetizzatore e una tromba.
Quando l'avanzo di luci si spegne, Dante irrompe tra noi attraverso la voce di Mario Brusa. L'inferno è la tromba di Giorgi Li Calzi.
Ascolto rapito poco meno di un paio d'ore di Divina Commedia: la lonza, Caronte, Paolo e Francesca, Malacoda, Ulisse e Diomede, il conte Ugolino, Lucifero.
La musica accompagna le immagini generate dalla voce attenta e dalle parole potenti.
Usciti a riveder le stelle, il sollievo scroscia in un naturale applauso.
Poi, con un sorriso sornione, il calore della voce ci conduce in una breve scorribanda nel Purgatorio, Canto VI.
Che suona come scritto ieri.

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
...
Ché le città d'Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
...
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
                  

venerdì 29 agosto 2008

Disincentivi alla rottamazione

Con Giovanna se ne sono andati centocinquantunmilaottocentoventisette chilometri, un numero che non ricordo di estati, due autoradio e tre incidenti passivi -come se da ferma avesse il talento di attrarre a se i veicoli in movimento (l'ultimo dei quali l'ha definitivamente resa un rottame).
Il bagagliaio puzzava ancora ieri di mare, neoprene e bigattini. I segni del portabici sulla carrozzeria erano come cicatrici sulle ginocchia.
Giovanna, il nome, se l'era conquistato con gli anni, mica come Esterina che c'eravamo innamorati sin da subito.
Anni e strade sbagliate sbrogliati insieme, fughe fino al mare la domenica pomeriggio, travagliati viaggi a sud. Amici da portare ovunque, qualche scopata stretta stretta nell'abitacolo -ma poche, ché io sono troppo lungo per stare a mio agio dentro una Punto blu.
E ora mi tocca ricominciare da capo e innamorarmi di sua sorella Maruzzella.
 

giovedì 28 agosto 2008

Ricette di recupero per veleni ad azione lenta

Amalgama con pazienza alcune Lagne di Piamadre ai quattro Ricordi di Padre che hai avanzato domenica. Aggiungi piccole dosi di Fuggiasca (conosciuta più comunemente come Sorellauno) e manciate abbondanti di Isterismo patologico (che si trova negli scaffali ti tutti i supermercati sotto il nome fuorviante di Sorelladue). Leva di mezzo, meglio se con un mestolo di rame, i buoni consigli di Vecchianonna che si vengono a formare mescolando con il cucchiaio di legno. Infine aggiungi una spruzzata di Ziazitella.
È un veleno portentoso che io sono solito chiamare Famiglia.
In genere funziona, uccide in poco più di una trentina d'anni.
    

mercoledì 27 agosto 2008

Appunti portoghesi I

Lisbona è un sud.
È sud per la fatiscenza che esplode intensa tra il luccicare degli azulejos. Crepe di muri, intonaco in foglie d'autunno, porte di legno scrostato e assi sui vetri rotti. Il rio Tejo è un mare azzurro e lontano su cui poggiano gli intonaci lustri di colori vivaci. Domina un giallo che è luce, e un lieve odore di piscio diffonde per la città.
È un sud. E i vecchi siedono vestiti di nero all'ombra dei platani, accompaganti solo dal loro bastone e pronti a raccontarti una vita, se potessi solamente capire qualcosa di più che obrigado.
[Come tutti i sud impressiona per indecenza. Che non è sconcezza, piuttosto un modo di lasciare andare le cose, come se nulla valesse realmente la pena. Distrattamente. Il mondo che si sfascia dietro il paravento di qualche piazza lustra.]
Lisbona si muove lenta. Noi solo la si attraversa senza poterne prendere il ritmo di fado. Appena il sentore di qualcosa dentro che stride, come volesse frenare. Fermarsi. Come un intuito di struggimento.
Camminare lungo le vie rette di Baixa, inerpicarsi sui sentieri del Bairro Alto che sanno di casa, volare nello sferraglaire della linea ventotto.
Mi possiede una malinconia. Che sono io.
             

martedì 26 agosto 2008

Saudade

Il Portogallo -attraversato per vie interne, da sud a nord- ti lascia sulla fronte un segno raggiante di malinconia. Come un interminabile mercoledì delle ceneri.
La bellezza lustra delle piazze -Lisbona, Evora, Coimbra, Porto- si mischia alla decadenza dei vicoli scoscesi in cui mi perdo con facilità. Angoli di città paiono cadere a pezzi di nascosto, come se avessero pudore del loro essere dimenticati. Così la gente.
Scivola la campagna deserta sotto le ruote, i boschi di sughero e di eucalipto. Spruzzi d'oceano per un innata fame di mare -che somiglia un poco a quella comune di amore.
E poi è subito tornare.
                

mercoledì 13 agosto 2008

Finalmente

Ora, qui, è veramente il deserto.
L'eco dei miei passi nel corridoio -e il lento succedersi di porte chiuse- m'invoglia ad abbandonare prematuramente la nave dei penosi doveri quotidiani. Ritrovarmi naufrago di piazza, a gingillarmi con i ghiaccio di un campari orange e un arco verde di collina.
Ma sotto il portico, i bar rispondono con le serrande abbassate alla mia sete. La gente, voltando gli angoli e sparendo.
Mi piace questo silenzio di città d'agosto.
Fortuna che c'è un viaggio da preparare.
                     

martedì 12 agosto 2008

Undici

Le stelle, cazzo! Le stelle cadenti!
Mi sono sfuggite dalla memoria di soppiatto, scomparendo come lucciole tra l'erba. Il dieci agosto l'ho dimenticato, neanche fosse il giorno del mio compleanno.
Ho perso il conto del tempo, distrattamente, aspettando di poter vedere Valentina Vezzali danzare nervosa come una vespa su una striscia di terra artificiale.
Affondi come stelle cadenti sull'incalzare dei nebulosi colpi avversari. Allora, all'ultima stoccata, ho esprtesso il mio desiderio.
La notte del dieci agosto è arrivata l'undici mattina.
                 

venerdì 8 agosto 2008

Prefestivo

Un pomeriggio intero è volato via al sindacato, passando i miei guai al setaccio e stipando tristezze altrui nel fondo nero delle orecchie. Una foresta pluviale di carta e speranze vane di normalità.
Sospiro e indìco lo sciopero generale da me stesso. Picchetto e mi tengo fuori. Da tutto, soprattutto da me.
Fuggo cantando: "Non t'impicciare più della tua vita che non sono affari tuoi!". Ma questa volta, forse, sto tra quelli fortunati.
    

mercoledì 6 agosto 2008

Scomposto

Oggi, inaspettatamente, ho ricevuto in regalo dei ricordi.
Alcuni erano miei, smarriti sotto la vita che si accumula.
Un oggi qualsiasi di quasi nove anni fa compravo dei colori e della carta spessa, matite grasse e gommapane. Il tempo scorreva lento e caldo in una casa ancora piena di tutti. Si aspettava qualcosa che finiva lentamente. E io, nella luce troppo viva sui volti scarni, tracciavo linee che non avrei chiuso mai più.
Che poi lo so che queste quattro righe sono incomprensibili. Allora pigia qui e ascolta Arancione. Lui è un amico mio fetente che le cose le dice molto meglio di me.
             

martedì 5 agosto 2008

Era tutto deserto

Ma perché la città non si svuota?
Ho voglia di passeggiare nel 'Deserto dei Tartari' dei negozi chiusi, nelle piazze aperte e sgombre. Nel silenzio delle strade schiacciate dalla calura, a ricercare un filo d'ombra rasente i muri gialli.
Aspettare le sette per vedere i superstiti di agosto uscire dalle tane condizionate di casa: due vecchine, il gelataio sull'uscio, qualche cane randagio sdraiato sul selciato con la lingua penzoloni.
Ho voglia di agosto vuoto.
Come quando eravamo troppo poveri per andare in vacanza e l'unico gioco da fare era attraversare il Corso in bicicletta. A occhi chiusi e con il semaforo rosso, naturalmente!, inventando improponibili zig-zag, impennate, sgumme e salti mortali. La compagnia era quella dei peggio guappi di Zona Pozzo, ma, allora, Torino era veramente un deserto e a giocare per strada c'eravamo solo noi, bambini ubriachi di caldo e senza casa al mare.
Poi Adelina si affacciava alla finestra e fischiava che era ora di rientrare.
La trovavo nascosta dietro la porta, un'ombra con il grembiule a fiori, pronta ad afferrarmi le orecchie e tirare forte: "Ma sono giochi da fare, quelli? Che poi mi ti investono e io che ci dico a papà?".
E stato in quegli anni che mi sono innamorato del vuoto.
      

lunedì 4 agosto 2008

Come l'amore

Le dita scorrono lievi sul dorso teso. Pelle liscia di cartone che subito seduce la mano, copertina blu notte che imprigiona il mio sguardo affamato di scuro. Sellerio è un nome che mi piace per lo scrosciare giocoso di elle, come Penelope.
Il pollice suona il frusciare veloce delle pagine come uno strumento a carta; si ferma improvviso nel centro, per lasciarmi infilare tra le cuciture il naso goloso. È un libro che profuma forte di donna, questo.
Quando finalmente comincio a leggere, mi scopro innamorato da sempre, dalla seconda riga, di Alicia Giménez-Bartlett. Perchè anche i libri, come l'amore, sono solo una questione di pelle.
    

venerdì 1 agosto 2008

Ringraziamenti

A chi mi ha pazientemente insegnato il gusto per le bollicine. E che è bello pasteggiare con una bottiglia di Franciacorta accanto -scioglie la lingua, rallegra il palato, rinfresca le idee.
A chi mi ha insegnato che ai matrimoni non ci si veste mai di nero. Che si può indossare il cappello solo se ce l'ha la madre della sposa.
Anche se sono cose che presto dimenticherò.
A chi mi ha insegnato che la felicità non è a tutti i costi. Che, a volte, il viaggio più lungo è restare. Che ammutinare è un modo di esserci.
E un'infinità di altre cose sottili che riemergono dai miei passi claudicanti in avanti, come tracce di nero.