lunedì 31 dicembre 2007

Trentuno

L'aria è viziata di normalità.
Se ne sente l'odore feroce a ogni passo strascicato per strada in avanti, a cercar spazio tra la gente impegnata a comprare l'ultimo paio di mutende rosse, l'ultimo chilo di lenticchie, l'ultima zampa di porco. Solo qualche colpo di fucile lasciato partire in anticipo fa tremare l'atmosfera inerte.
Non è un giorno da resa dei conti, questo. Da bilancio.
È un giorno freddo, niente più.
L'anno inizia a settembre e la linea dei conti va tirata sul finire di agosto. Nessun proposito può essere mantenuto se non comincia niente e niente finisce. 
Non è neanche un giorno di festa.
Nulla vibra intorno, nulla risuona nel mio vuoto. Non ha magia questa festa finta, fatta di rumore e risate forzate. Non ci sono neanche più le carte a farmi tremare, con quei re di denari e otto di coppe che ci facevano vacillare le mani sul bicchiere e litigare feroci attorno al piatto. Finché non arrivava la nonna mettere pace.
Perduto il mazziere, perduto il paciere, s'è chiusa la bisca.
E ora non ci resta che scommettere sulla felicità ricamata una sera di fine settembre nel tepore barocco di un'altra città.

[BRACCO - Brigate Rivoluzionarie Abolizione Capodanno Cristiano Ong]

venerdì 28 dicembre 2007

Arianna

Secondanipote è di capo nero e sguardo azzurro cupo. Pare vedere lontano, ma forse è solo l'occhio lento dei bimbi a ingannarmi. Piange spesso, la sera, di un pianto dirotto che è un grido nervoso, quasi autoritario, ma inaspettatamente basta la mano calda sulla guancia per rasserenarla. E qualche corsa lungo il corridoio per farla ridere.
Una neonata come tante.
Ma porta già chiari i segni della stirpe da cui viene: il pelo riccio sulla testa, la cocciutaggine assurda, l'appetito insaziabile e la fame di carezze, i sorrisi che le si aprono imporovvisi sul viso, senza apparente motivo, come ci fosse un filo di pensieri sepre altrove. La gran faccia di bronzo.
Ora aspettiamo.
La curva del naso farà il resto.

lunedì 24 dicembre 2007

Ventiquattro

Oggi è Natale.
Lo si sente dai profumi che escono dalle cucine, dalle voci allegre che si incrociano per strada, dal suono liscio delle borse cariche che si strusciano. Oggi è Natale. Non confondetelo con domani, che è solo una domenica aggiunta al calendario.
Oggi le cucine sono vive di donne in grembiule a fiori e mani infarinate, di uomini che mondano verdure o sgherigliano noci, sempre che riescano a rientrare un po' prima. Di bambini che fanno capolino dalla porta per rubare uno spicchio di pasta cruda.
Gli alberi sono accesi e ancora verdi del sottobosco frusciante dei pacchi. I presepi ancora vuoti, in attesa, come l'aria che si respira.
Che si respirava.
Adelina, immersa nell'impasto delle cassatelle, era solo una voce che cantava. Nonna, di mani grandi, sflava. La pasta si ammansiva, come domata dai solchi profondi sulle dita. Zia Elle badava a friggere quelle piccole delizie ripiene i ricotta o marmellata.
Sorellauno e Sorelladue architettavano piani d'assalto al nascondiglio dei regali, mentre io aspettavo alla finestra che mio padre tornasse. O ancora più forte aspettavo la voce che mi comandasse di uscire nel freddo di luci colorate.
- Ginocchia, corri a prendermi al vanillina, che l'ho finita.
- Sì, mà! Vado.
Cosi incominciava il Natale, immergendosi nella gente che sembrava felice. Nel suono accogliente delle parole, nel gelo muto dei due pini davanti casa, nel miracolo dei colori.
Finiva poi ben dopo la mezzanotte, annodato a un mazzo di carte.
Il sette e mezzo un vizio di famiglia.

Buon Natale. A tutti voi.

venerdì 21 dicembre 2007

Lettera natalizia per chi se ne andato

È la letterina di Natale, questa ridicola. Ché la fame di dire non me l'ha prosciugata alle labbra lo schiaffo delle ultime parole lontane.
Allora si approfitta delle feste non più sentite per sviscerare il calore di dentro che nulla
più cava di fuori, tanto a fondo s'è rintanato.
Ci si occupa delle persone a cui si vuole bene, in questi giorni di freddo, dicono. E io mi devo occupare di te che non sei più qui. Non basta lo spazio interposto e il silenzio a farmi gelare il sangue di dentro, anche se è una distanza che non si colma col dire. Necessario è solo sentire.

Ti penso ogni giorno, perché mi sei dentro. Entrando da non so quale breccia lasciata nella difesa di me -ah! come avrei voluto esser solo me stesso e non questi altri che m'affollano i giorni!- e nascondendoti in fondo, qualcosa e rimasto. Forse anche solo il senso del vuoto. Ti voglio bene, per questo non so dimenticarmi di te e, ottuso, aspetto Natale per raccontartelo. Anche se non mi vedi venire nella tua casa di pietra sul monte
vecchio, ti penso ogni istante del giorno. Perchè il coraggio che mi hai regalato mai lo ritroverò. E ci penso, come se a ricordarlo potessi riprenderlo. Perchè mi piaceva com'ero nella presenza di te, più solido, intero, determinato. Come se sulle tue fondamenta malconce potessi governare il mio magma. Farne qualcosa di senso.
Avrei potuto essere un uomo migliore, prima.
E ti penso, anche solo
perché vedere il tuo brutto muso nella memoria mi apre al sorriso.
Mi manchi di aria non respirata.

giovedì 20 dicembre 2007

L'infelicità al contrario

L’acqua mi accoglie in un abbraccio di peli rizzati e desiderio bluastro di mare.
Silenzio di bolle che scioglie il grumo ritorto del mio amaro pensare che manchi, con la testa che duole, il vuoto nel petto, il corpo che scivola nell’acqua di cloro.
Manchi. E lo dice la vita che ancora mi brucia e trema al pensiero, le foglie morte dei tigli che parlano al vento nel crepitio dei miei passi. Lo dice quest’acqua smossa di braccia, di piscio e sospiri.
Che mi manchi lo ripete testardo ogni passo del piede, ogni giro di sangue voluto dal cuore.
E viceversa. 

martedì 18 dicembre 2007

I dubbi della vita mi pongo

Ginocchia: [pesieroso] chissà perché alle femmine piace così tanto essere sculacciate?
Fukuda: [serio] non so, credo non sia per il gesto in sè, ma per la musica..
Ginocchia: [perplesso] la musica?    
Fukuda: [serissimo] sì, tu prova con qualsiasi altra parte del corpo e non otterrai quello stesso identico suono! secondo me è quello!!
Ginocchia: [tra i denti, ridendo] mpfh..

lunedì 17 dicembre 2007

Cadere

Nevica. Una neve di fiocchi grandi che la terra si mangia come affamata di acqua. La mia fame di bianco si sazia, invece, nel cielo che inutilmente continua cadere. Solo qualche pino si lascia ammantare, nulla più.
Simile a quest'ostinazione di neve è il mio cercarti, mi sciogli via come fossi di niente mentre lentamente precipito. Senza mai smettere.
E continuo a scivolare ingenuo sulle trappole che mi tendi.


venerdì 14 dicembre 2007

Iperboli

L'errore è sempre quello di alzarsi. Ché lo sai che ci sono giornate che non ci si dovrebbe far cavare fuori dal sicuro del letto, neanche dalle cose impotanti.
Che c'è sempre domani per le cose importanti, e se non ci fosse domani nulla sarebbe poi tanto importante.
L'umore è già cupo al primo freddo del pavimento sul piede scalzo. Il sinistro da sempre, per una strana circostanza d'orientamento di tutti i miei letti. Peggiora con l'amaro del caffè. Precipita al gelo del ballatoio. Si schianta al fiato sul collo di certe amare incombenze.
I minuti trascorrono con aria di ore. Si comunica a mugugni e versi di cane. Le imprecazioni sibilano tra i denti avvelenati. Una giornata di sole gelido, da trascinare fino a sera.
Ma poi arrivano, inaspettate, voci che suonano come d'argento, che ridono in iperboli di parole. Voci amiche che
involontariamente liberano il sorriso incavato nel fondo.
Ci sono giorni che non si può fare altro che dire grazie, e immaginarsi lo sguardo stupito di chi non capisce il perché.

giovedì 13 dicembre 2007

Sinusoidale

Cammino inciampando. Che non è inciampare, talvolta, camminando. L'accenno alla caduta è costante, chi cammina con me conosce bene questa distorsione dell'andare che mi rende precario.
- Di oggi son sette - mi dicono spesso ridendo - dovresti avere finito, almeno per una dozzina di metri!
Un'instabilità del pensiero che cede alle gambe. Come un peso.
La caviglia si piega o scivola via il tallone da dietro, poi un balzo in avanti a ritrovare una pervenza di passo. 
- Non è successo niente! - provo a rassicurare chi si aspettava di vedermi cadere.
E riprendo a barcollare ridendo, come ubriacato da un desiderio di troppo.

mercoledì 12 dicembre 2007

Impressioni di dicembre

A volte ho come l'impressione che l'equilibrio sia solo una serie di movimenti armoniosamente scombinati in successione. Come correre sul filo, una questione di fortuna e assenza di vento.
Ecco, io ora ho come l'impressione di stare per cadere.

martedì 11 dicembre 2007

Hibiscus syriacus

La cucina è una calda macchia arancione. Poca luce di sodio bagna il bianco dei libri, parole come scritte a macchina sparse sul legno del tavolo. Il quaderno verde di appunti a matita è un seme di idea da far crescere nel giardino dei tuoi occhi.
Ti parlo muto. Con gesti sicuri delle mani.
Ma tu non rispondi e mi lasci annegare nei miei pensieri di fango.
Forse già dormi. O forse sei semplicemente crudele.
Però sei bella quando ti apri come un ibisco e mi rubi lo sguardo, quando lasci il tuo profumo invadermi l'aria e i sogni.
E io non so non pensarti.
Sei bella che fa male quando non fermi l'impeto delle braccia e delle parole, le mani sulla mia testa, la paura dimenticata sulla porta di casa. Quando dividi con me il chiaro dei sogni, quando mi sputi addosso il ventre nero di te.
Quando ti schiudi. E ti doni.
Poi è solo alba, di un'altra notte passata bianca.

lunedì 10 dicembre 2007

Il naso non dimentica

L'odore di bruciato non si sente quasi più. Non come dopo l'incendio di quattro anni fa che continuai a sentire il gusto del ferro nell'aria per giorni.
Il naso lungo e i bronchi che si chiudono come piante carnivore al tocco, togliendomi il respiro al primo afrore metallico, mi guidano verso la periferia della città. 
Sono strade che conosco bene per esserci nato vicino.
Davanti alla ThyssenKrupp c'è il parco enorme che da fiato ai palazzi accalcati sull'uscita della tangenziale. Ci si giocava spesso a pallone, la domenica mattina, prima che diventasse campo di mignotte.
I pompieri stanno qualche centinaio di metri più in là, mezzi schierati e facce da marinai.
Annuso l'aria.
Ora, l'unico profumo che si sente è quello della morte.
Di carne bruciata e dolore e pianto.
Un odore che si dimentica presto, nonostante l'apparente persistenza.
La notizia, a breve, non farà più ascolto a sufficienza, smetterà di suscitare sdegno e scalpore. Finirà questo sciopero solidale di rappresentanza, il lutto cittadino ipocrita e finalmente saremo di nuovo liberi di morire come bestie da soma a lavoro.
Di barattare la vita con l'acciaio. Di confondere il diritto con l'abuso.
Come tornati indietro di troppi anni in civiltà.

venerdì 7 dicembre 2007

Nostalgie d'ala sinistra

Le scarpe sono blu, di pelle affusolata, tatuata di cuciture in evidenza. C'è ancora un poco di fango secco tra i tacchetti, lasciato lì ad invecchiare per oltre un anno e mezzo.
Una scrollata di polvere chiara come sabbia.
Il tempo è passato veloce dall'ultima volta.
Mi emoziono di gesti conosciuti a memoria, ma levati a forza dal quotidiano dei giorni per la troppa fragilità delle caviglie.
Lanciare a terra la borsa nel freddo dello spogliatoio, infilarsi pantaloncini e maglietta, fasciare le colpevoli caviglie, mettere su i parastinchi, i calzettoni ed infine, con cura, le scarpe.
Intorno, il vociare allegro dei compagni: chi gioca dietro faccia attenzione al piccoletto col ventitre, è veloce e figlio di mignotta. Domenico, tu devi tornare, sennò vaffanculo. E tu, Miché, se fai tre gol ti offro la birra!
Mi alzo piano e pesto forte i piedi a terra, l'accrocchio arrugginito delle gambe pare tenere.
Il terreno di gioco è umido, l'aria gelata.
Due giri di riscaldamento e poi si inizia.
Con calma.
Che il vicino del primo piano, vedendomi uscire con la borsa mi ha gridato: "Fai attenzione! Ci si fa molto male giocando a pallone!".
Menagramo del cazzo! Ho mormorato filastrocche di scongiuro per tutto il tragitto: "Aglio, fravaglio, fattura che nun quaglia, capa e' alice e capa r'aglio, sciò sciò ciucciuè, vavatten ra casa mia.."
Il rito aprotopaico pare funzionare, la gamba risponde bene, nonostante siano quasi cinque mesi che non vado neanche in bici, l'asma non disturba più di tanto.
Si gioca. Andrea mette ordine dietro, Miché fa il suo dovere -cosa non farebbe per una birra!-, la mia fascia è presidiata. Mi faccio nemici tra gli avversari, come al solito, per la cocciutaggine di non voler mai levare la gamba. Mai. Testardaggine che ho pagato io per primo.
La partita finisce che mi sto accanendo da terra su un pallone a perdere. La mano tesa dell'avversario a farmi risalire è un piacere che avevo dimenticato.
Le ginocchia sanguinano, come il gomito sinistro, un livido grande come un arancia si leva sui lombi, un polso duole. Anche una caviglia, ma a queste ci sono abituato.
E poi tutto procede come sempre. La doccia, scroccare lo shampoo, i pagellini fatti ridendo, rivestirsi.
Ingollo quattro sorsate d'acqua fresca come una necessità insopprimibile.
Quando arrivo a casa m'assale un dolore lancinante al ventre e comincio a vomitare.
M'ero dimenticato solo che non si deve bere come un disperato nel gelo della notte, se vuoi salvarti dall'ira dello stomaco. 'ccidenti!

giovedì 6 dicembre 2007

Amaramente

Lascio la lingua diventare nera di liquirizia Barone Amarelli.
Il gusto amarissimo mi invade il palato, lo percorre tutto come un brivido nero, fino fermarsi proprio dove il naso sfoga all'interno della bocca.
Ora lo sento anche annusando questo sapore velenoso e cupo, un sapore che sta nel fondo della bocca. Mi piaga la gola a ogni respiro.
E mi piace.
Perché mi ricorda chi sono, questo suo non volere andar via.
Lentamente mi faccio anch'io nero, o forse è solo il primo sintomo della rabdomiolisi da Glycyrrhiza glabra.


[In fondo, il barone doveva essere proprio un genio del male.]

mercoledì 5 dicembre 2007

Aster

Respiro.
Contando. Uno, due. Uno, due, Uno, due.
Come a far ordine nel fiato che manca mentre un caos tumultuoso mi invade i pensieri, il dolore alla nuca è lancinante, come una mano che schiaccia il viso per terra e fa confusione tra le pile sghembe di idee male accumulate.

Oggi mi sono alzato così, di traverso.
Si confondono la stanchezza, il dolore al petto, l'umore cattivo dell'asma.
Cerco solo di fermarmi e aspettare che passi, questi sono giorni in cui ogni movimento inconsulto della lingua tende a distruggere. E io non voglio. Sono stanco di dovermi difendere da tutto e vorrei solo poter avere la quiete di fare, di stare finalmente scoperto, senza dover pensare sempre a proteggermi, a proteggere.
Ricordi sopiti vengono a galla dal fondo, lasciandomi senza parole.
Ricordi imputriditi nella memoria non ricordata.

Mio padre era morto da poco. Dopo cinque anni d'angoscia. Noi, avanzati alla vita, cercavamo di vendere il suo negozio di riparazioni TV -non i muri che non ci appartenevano, solo le attrezzature, la licenza- poichè nessuno era in grado di portare avanti l'attività senza di lui. Un laboratorio che era terzofiglio perchè nato gemello di sorelladue, qualche anno prima di me. Io venivo dopo, terzo degli umani, quarto comunque.
Il primo acquirente fu un ragazzo della mia stessa età il cui padre aguzzino ci offrì un pugno di lire per tutto. Troppo poco per il lavoro di una vita, ma noi si era disperati e uscire da quella via chiusa era diventata una necessità primaria.
Sopravvivere significava allontanarsi da quel buco che mi continuava a succhiare la vita.
Non ricordo nemmeno quanti anni avessi, so solo che erano pochi, troppo pochi per avere in mano il destino di una famiglia di femmine antiche, completamente affidate a ogni mio scatto d'inutile ira.
Firmammo il contratto un sabato pomeriggio di sole autunnale, intascai l'assegno e me ne andai a casa leggero, da lì sarei partito per fare me, la mia vita che era stata immobilizzata per anni.
La domenica sera correvo in auto per andare non so dove, avevo solo fame di spazi aperti. Una telefonata mi raggiunse al primo cellulare, di quelli neri, da mezzo chilo: il ragazzo di cui non ricordo il nome era morto la domenica mattina, seccato dal tram mentre passava i binari sulla sua moto. Un trafiletto per la cronaca nera del lunedì.
Forse ci aveva mosso la stessa fame di spazi aperti. In fondo eravamo identici e in qualche modo stavamo per diventare fratelli.
Andai a casa e strappai contratto e assegno. Come strappare la mia speranza per un futuro possibile.
Quel giorno mi sentii come maledetto.
Ripresi a lavorare il mattino successivo, c'era l'affitto da pagare, la spesa da fare, nessun'altra possibilità.
Rimasi come in galera per un altro anno oltre.


Sono pesi, questi, che mi salgono su come conati.
Cerco di fermarmi, perchè ora non serve a niente ricordare cose che fanno dolore. Ora è il momento di costruire, arrivato in ritardo di anni, ma giunto come qualcosa che credevo impossibile.

martedì 4 dicembre 2007

Dal vangelo secondo Fukuda

Mi ricordo quando tornavo a piedi da casa tua, gonfio di whisky, alle tre di notte. Che sull'angolo del corso ci stavano quei due travestiti altissimi. Sorridevano sempre e, con un cenno della mano, solevano dirmi:
- Ciàaaobbello! - con vocine delicate e baritonali, da antro di caverna.
Io ero contento, che bello non me l'aveva mai detto nessuno, allora.
Loro se ne accorgevano, perchè si vedeva che lottavo a trattenere un sorriso, e si proponevano con grande cortesia.
- Grazie davvero, signore - dicevo - per tutto. Ma per questa sera ho già dato.
- Peccato.
- Eh! Spiace quasi anche a me! 

lunedì 3 dicembre 2007

Sminchio

Oggi sono vuoto.
Che faccio eco.
Ma se io potessi scrivere, giuro che scriverei!
Invece, anche questo non volere dire mi sembra già sentito. Ma devo fare uno sforzo di memoria per capire dove l'ho letto.
Spremo le meningi, ma torna in mente solo il gatto che mi miagola affianco. Gli occhi bagnati dalla congiuntivite cronica e i peli ritti sulla schiena. Ha i calcoli alla vescica e mi chiama, come se io potessi togliergli la rena che gli duole nel ventre.
Non sono tanto bravo, purtroppo. Non so fare nulla che sia utile a nessuno.
Al massimo posso fare carezze, per alleviare. Lottare tra fauci e medicine, lasciarmi affondare gli artigli rabbiosi nelle mani, quando l'ago gli entra tra le scapole.
Arturo è un gatto sminchio.
Siamo fatti l'uno per l'altro.