giovedì 24 dicembre 2009

Gadus morhua

Checché se ne dica, il baccalà non è un pesce.
Ma cresce, così come lo vedete al mercato, sui baccalalberi. I baccalalberi, che mettono radici direttamente nelle saline, sono una rara varieta alofila del pistacchio (Cazzo!, erano anni che volevo dire
specie alofila!). A inizio estate, il baccalà - che non è un pesce - si tuffa nelle reti da pesca disposte sotto i tronchi. Un doppio carpiato con avvitamento, in genere.
Poi viene raccolto, conservato e cucinato da mia nonna.
Chiaramente, mia nonna è l'unica a conoscere il segreto del baccalà che non è un pesce, così che anche quelli che non mangiano il pesce possono gustarsi il baccalà con sommo gaudio e piacere e senza rompere bizzarri giuramenti vegani e altre
simili amenità.
E la dimostrazione scientifica che il baccalà non è un pesce è che lo si accompagna con il Rosso di Barbarano, mica con uno sciapo bianchetto.

E comunque Paolo conte si sbagliava: che il baccalà non è un pesce l'ho già detto, vero? Che il maiale non è carne ve lo racconterò la prossima volta.

« "Pesce Veloce del Baltico"
dice il menù che contorno han
torta di mais e poi servono
polenta e baccalà
cucina povera e umile
fatta d'ingenuità
caduta nel gorgo perfido
della celebrità »

(Paolo Conte, Pesce veloce del Baltico) 
    

martedì 22 dicembre 2009

Geometrie non euclidee

Il cielo pesava bianco sulle loro teste scure, strette nei cappelli neri e infossate nei baveri alzati delle giacche. Il freddo sembrava strappar loro di dosso sciarpe e cappotti, facendoli sentire nudi e scalzi. I denti battevano un ritmo gelato che mangiava le parole.
Fumare era cercare calore.
I primi fiocchi arrivarono lentamente sui loro nasi arcuati, che ondeggiavano piano sulla strada di casa. Due sagome zoppicanti d'uccello e la sensazione di avere sbagliato rotta. La migrazione di un fallimento.
- Nevica! - disse il primo con voce roca, che cercava di mascherare lo stupere infantile che gli incollava gli occhi al cielo.
Neve sottile come farina sbiancava le barbe lasciate lunghe.
- Già - rispose l'altro con il viso rivolto alle scarpe.
Il gesto naturale fu quello di aprire il palmo, come a ricevere un'elemosina. Gli occhi volarono a spiare la generosità del cielo.
Un fiocco minuto mostrava, alla luce di un'insegna Tabacchi, la sua geometria perfetta.
Non era un fiocco di neve, era IL fiocco di neve. Come se tutta la neve del mondo si fosse condensata in quella forma unica di ghiaccio, che ne era la sintesi esatta.
- La geometria è la lingua di dio - disse al compagno che non lo ascoltava più, ma danzava sulle impronte lasciate da altri. Passi ricalcati, per tenere i piedi all'asciutto.
Nel silenzio della neve, si accese il calore di una voglia.
Allungò il passo verso casa, lasciando indietro l'amico che arrancava. Il freddo non lo sentiva quasi più. Sentiva solo la fame di arrivare al tavolo, riprendere in mano i vecchi libri di matematica e cercare l'equazione che gli avrebbe spiegato la forma del mondo.  
   

venerdì 18 dicembre 2009

Neodarwinismo critico

Fa freddo. E svegliarsi somiglia più a un castigo che a una possibilità.
Dormo, avvolto in sette coperte di lana riciclata -erano maglioni, sciarpe o guanti, prima che la nonna ci buttasse dentro il suo tempo lento-, e affilo le unghie contro la parete come fosse corteccia d'albero.
Il letargo è una chiara manifestazione della superiorità degli orsi.
E io sogno solo di affrancarmi dalla specie umana.
  

martedì 15 dicembre 2009

Nostalgie

Ginocchia: e tu? ti ricordi com'era bello una volta?  
Fukuda: no! 
Ginocchia: ...     
Fukuda: che no, no era bello. Ma di sicuro era meglio. 
             

mercoledì 9 dicembre 2009

Terrazza panoramica

C'era il cielo, che si lasciava crollare piano sulla città appena accesa. E c'erano le arance aggrappate a rami troppo verdi, che mi sorridevano come fossero in posa per la memoria, per una fotografia da scattare con gli occhi, da lasciare imprimere nei sali d'argento di un pensiero irrazionale. Una fotografia al contrario, con le spalle voltate al panorama perfetto, invaso da milioni di occhi, da milioni di dita tese a indicare, da milioni di nasi allineati alle dita, come pronti a sparare un 'Oh' di meraviglia dalla bocca socchiusa.
Di spalle, sentivo gli obiettivi che raschiavano avanzi di luce dai tetti inermi.
Il buio calava lento, danzando su un ritmo di click, e toglieva vigore ai colori e a me. Solo le arance sembravano vive in quella penombra.
La punta di una sigaretta guidava i miei passi come un faro, il respiro era il suo giro.
Oltre la ringhiera, troppo spazio da abbracciare con uno sguardo solo.
E c'ero io, voltato di spalle, estraneo alla linea tracciata dagli occhi degli altri, che seguivo l'odore di aspro del vento:
- Buono questo, vero? - mi dicevano dita chiuse su uno spicchio.
Come un'offerta di felicità.
  

giovedì 3 dicembre 2009

Apotropaico n°7

Tutto è cominciato da uno specchietto.
Non dal solito specchio rotto e i suoi proverbiali sette anni di sventure, ma da un retrovisore divelto che pendeva come un osso spezzato sulla portiera verde sporco.
Un "fanculo che sfiga!" e ventitré giri di nastro isolante pensavo che sarebbero bastati a rimettere a posto i conti col destino - cinico e baro! - e in sesto lo specchietto, come una steccatura fatta alla buona. Tanta buona volontà.
Poi, invece, è venuto il giorno della carta di credito. Prima che il servizio antifrode avesse la compiacenza di telefonarmi, qualcuno si era divertito a fare acquisti ai magazzini La Fayette mentre io guardavo la pioggia prepararsi a cadere dalla finstra di casa. Facendo i conti su come arrivare a fine mese.
Che poi, non fosse stata la mia, di carta di credito, io li avrei anche ammirati questi che si sono scofanati un migliaio di euri di cene di lusso.
A denuncia fatta e adeguatamente rassicurato che tutto si sarebbe risolto con la restituzione del maltolto, però, è morto suicida il pc (non il caro, vecchio partito comunista di cui ancora sento nostalgia, che era già morto tanto tempo fa). Come si fosse sparato un colpo in testa.
Il tecnico, tentata una fallimentare rianimazione, ha cominciato a dissanguare anche me che, obnubilato da un poco giudizioso dente del giudizio e da una dose eccessiva di [(2,6-dichlorophenyl) amminico] - benzeneaceticacimonosodium 2, perdevo ogni velleità di resistere.
Il dentista ha strappato via il dolore con un colpo secco del polso, come cavasse un avanzo di picciolo da un'arancia. Clack. Io ho solo bestemmiato. Che non avevo altre parole nel mazzo da cui scegliere e poi combinare nomi di santi e animali m'è sempre riuscito bene.
Ora, con un dente in meno, mi sento più lieve.
Solo non riesco più a togliere le mani dalle tasche, nella speranza vaga che un gesto apotropaico possa salvarmi.