venerdì 30 gennaio 2009

Esercizi di felicità

Sono i giorni della merla, questi, da armarsi di sciarpa fino ai denti, cappello ben calcato sulla fronte e guanti senza dita per fumare. Anche se potrebbero essere al massimo i giorni dell ciuffolotto, visto il cielo azzurro e il tepore vago sulle spalle quando si esce all'una e mezza per pranzare. Una cosa piccola, ma di bella voce.
Il freddo non è fuori.
È un cosa che si sente dentro, la mattina.
La faccia, prima di prendere acqua, dice allo specchio la verità. Una verità che suona come una resa. "Non sono strutturato in modo da poter reggere per molto tempo ancora" verrebbe da cantare, se non ci fosse il sapone al mughetto per stuccare l'espressione crucciata, la crostata di marmellata di fragole a colazione e la consapevolezza di una fortuna non da poco.
Il difficile sta proprio nell'amaro del caffé: la coscienza limpida di uno stato di grazia e un buco nero in petto che succhia via ogni serenità. Come fossì un alchimista al contrario, capace di trasformare in malinconia tutta la gioia che tocca.
L'esercizio, anche questo, me lo insegnò la vecchia mentre le reggevo la matassa in silenzio: "pensa male che bene te ne viene!", diceva.
Così, gomitolo dopo gomitolo, mi levava di dosso la maledizione di essere come mio nonno: il peggiore. Sette mogli e una quantità indicibile di puttane, debiti di gioco e guida senza patente, contrabbando e troppa allegria per questo mondo. 
L'aria da canaglia me la lavarono via a suon di "Stai diventando proprio come quello là!" gridati con disprezzo ogni qual volta ne combinavo una, ogni volta che l'aria di festa mi prendeva le viscere o escogitavo un tiro mancino.
Perché la mia è malinconia mitocondriale, mi arriva dritta in dono dalle femmine. Matrilineare come la patologica golosità.
Allora, adesso, ciò che mi preme è solamente emanciparmi di questa genetica indecente e fare esercizio di felicità.
Alla facciazza tua!

Qualcosa di semplice per iniziare, come pensare sorridendo a tutto quello che mi fa stare bene (neru docet):


il gatto arturo che si rotola come un cinghiale sul letto per invitarmi a fargli due carezze
mani piccole e lisce che armeggiano tra i capelli
il sapore delle arance vaniglia
spogliarmi per strada per convincerla a far pace
il primo profumo di primavera che si sente in inverno
poltrire in maniera indegna
il triangolo di pelle perfetta che sta tra ascella, clavicola e seno
il gusto del tabacco
leggere i libri degli altri
ridere
le femmine coi sandali
preparare le pere madernassa con vino, cannella e chiodi di garofano
mangiare le pere madernassa (con vino, cannella e chiodi di garofano) con le mani
andare al cinema da solo
camminare scalzo


E poi altre, ma direi che per oggi può bastare.
Forse, questo sabato, lo salvo.
      

mercoledì 28 gennaio 2009

In porto

Mi sento come quelli che, ormai avvezzi al rollio della nave, cominciano a vomitare appena posato un piede sulla terraferma.
L'immobilità della banchina mi disorienta, come questa nuova stabilità che mi stravolge gli equilibri precari dell'orecchio interno.
Labirintite morale, si direbbe guardandomi.
Come se non fossi più in grado di stare in piedi se la terra non trema sotto, se non c'è fango su cui scivolare o un dolore con cui misurarsi. Ho camminato di traverso per troppo tempo per riuscire a godere a lungo di questa nuova stabilità.
E sapere che non è giusto non gioire non serve ad ammaestrare l'indole ormai precaria.
Distruggere tutto e salire nuovamente a bordo è una tentazione a cui vorrei sapere rinunciare.
   

martedì 27 gennaio 2009

Appunti per ricordare

Nell’universale amnistia morale concessa da molto tempo agli assassini, i deporati, i fucilati, i massacrati hanno soltanto noi che pensiamo a loro. Se cessassimo di farlo, finiremmo di sterminarli, ed essi sarebbero annientati definitivamente. I morti dipendono interamente dalla nostra fedeltà.
Questo è proprio del passato: il passato ha bisogno che lo si aiuti, che lo si ricordi agli smemorati, ai frivoli e agli indifferenti, che le nostre celebrazioni lo salvino continuamente dal nulla, o almeno ritardino il non essere al quale è votato; il passato ha bisogno della nostra memoria.
È il passato che reclama la nostra pietà e la nostra gratitudine: perché il passato non si difende da solo come si difendono il presente e il futuro, e la gioventù chiede di conoscerlo, e sospetta che le nascondiamo qualcosa.


venerdì 23 gennaio 2009

Earl Gray

- Non ho ancora capito se questo tuo assurdo modo di fantasticare la realtà sia il tuo peggior difetto o il più bel talento che possiedi...
- Neanche io, mon cher, neanche io...
- ...
- Ma perché, io fantastico la realtà?
        

giovedì 22 gennaio 2009

Sciovinismo metropolitano

Ho dovuto leggere questo per comprendere meglio questa tristezza.
Per imparare che tutto ciò che continuo a dare per scontato
[la Cricca d'estate, il Caffé Liber ogni qual volta nella notte, il Basaglia e molti altri; così come tutta un'infanzia trascorsa tra Gabrio, Da Giau, Lega dei Furiosi e mille altri posti visti anche una sola volta], scontato non è per nulla.
La mia città vive e talvolta, di notte, riesco a sentirla respirare anche solo poggiando l'orecchio sul pavimento. Ha un bel suono questo pulsare.
L'invito è d'obbligo: perché non venite qui?
  

mercoledì 21 gennaio 2009

Esercizi pratici sulla soglia del dolore

Dottoressa E: e qui ti fa male?
Ginocchia: ahia!
Dottoressa E: ma se non ti ho neanche toccato...
Ginocchia: si vede che è bastato lo spostamento d'aria...
Dottoressa E: e qui? Ti fa male qui?
Ginocchia: ahia!
Dottoressa E: e qui?
Ginocchia: ahia!
Dottoressa E: e qu...
Ginocchia: ok, dottoré, basta! Mi fa male un po' dappertutto!
Dottoressa E: direi che hai una bella...
Ginocchia: sto morendo, vero?
Dottoressa E: sinusite! 
Ginocchia: e quanto tempo mi rimane?
Dottoressa E: un paio d'anni che...
Ginocchia: solo due anni?
Dottoressa E: [pigiando con due dita sui seni paranasali come solo Ken Shiro] dicevo, un paio d'anni che non ti si vede, ma sei sempre minchione uguale!
Ginocchia: ahia!    

lunedì 19 gennaio 2009

Sottovoce

È che sto bene.
E questa cosa mi disorienta e meraviglia insieme.
La diffidenza imparata dalla nonna mi impone una certa noncuranza, come si trattasse solo di una tregua. Perché dalla vecchia ho imparato soltanto cose vere, che mi tornano in mente come a caso quando penso alla sua faccia larga di rospo: la camomilla va colta il giorno di Santa Rita, se vogliono aiutare i nervi deboli; per aggiustar la pancia ci vuole il nocino di ventitre noci prese alla vigilia di San Giovanni.
Ecco, facciamo che me la godo a bassa voce.
Che altro, per adesso, non ricordo.
 

venerdì 16 gennaio 2009

Scivolando

Ci son certi giorni che a vivere mi diverto un sacco, contrappeso necessario dei molti in cui mi girano i coglioni.
E ci sono certe sere soprattutto, di aria gelata e cielo limpido; ché il cielo d'inverno, si sa, è molto più bello. Anche solo per un semplice fatto di costellazioni: le tre belle d'estate sono appena passabili in confronto a orione e i suoi cani.
E poi c'è piazza Bodoni che è un'unica, immensa lastra di ghiaccio su cui la gente scivola e pattina e cade.
E ci sono io che torno a casa di notte conciato come se stessi per partire per mare con una nave rompighiaccio. La gente mi guarda strano e,
a mezza voce, mi chiama nostromo.
Intanto, un pulmino che pare quello della famiglia Bradford pattina disperatamente nel suo parcheggio. Le ruote girano nel nulla, il gasolio odora di buono, fa nera la neve e riempie la strada di fumo.
D'istinto picchio due colpi sulla ruggine del portellone, come a dire "occhio, che ci sono io qua dietro!", e comincio a spingere.
Balla un poco di lato, ma nulla di più.
Dal pulmino scendono in due: una ragazzina alta come una palla di neve e un ragazzetto riccio e scuro. Il pilota rimane sconsolato al volante, a dire un disperato "ma no!" col finestrino abbassato.
Allora è un attimo. 
Ci si mette a ridere e a chiaccherare. Si rompe il ghiaccio da sotto le ruote con la punta mozza di un ombrellone, si infilano cartoni vuoti di pizza sotto le gomme, si spinge. E siamo già diventati cinque.
Uno sparuto crocchio di gente ci guarda perplesso e sorride. Hanno mani troppo belle che non vanno consumate per fare, ma rifugiate nel fondo asettico delle tasche.
Provvidenziale, poi, l'arrivo di un signore coi baffi. Dev'essere un musicista per come detta il tempo dello sforzo.
Una. Due. Tre spinte ancora e la bestia è di nuovo per strada.
Il resto è stato salutarsi da vecchi amici e colpi di clacson come ai mondiali.
È che a me, le minchiate, mi fanno impazzire.   
   

giovedì 15 gennaio 2009

Sulle varie forme di possessione

Questo strano benessere da raffreddamento non mi convince...
Il male fisico è stranamente compensato da un inatteso rilascio di endorfine. Pensieri lucidi, lieve allegrezza, piacevole ottundimento. Voglia di dire, fare, baciare.
Oddio. Che una di quelle creature verdi che vivono dentro il mio naso abbia preso il controllo di me? Che un brain slug con l'indole da massaia abbia fatto un salto nel vuoto del cervello per impossessarsi dei miei neuroni e mettervi ordine? 
Già me lo vedo dal ponte di comando dell'ipotalamo: "Via quelle minchate da lì! E fate fuori pure le paturnie. Sù con quei fasci, li voglio belli dritti. Più sinapsi per tutti. Andiamo! Che per superare la crisi bisogna spenderla, quella serotonina!"...
Credo che andrò a farmi di suffumigi. La resistenza inizia con i fumogeni.   
 

mercoledì 14 gennaio 2009

Senza voce

Fa freddo. Cazzo, se fa freddo!
Tutto s'è fatto ghiaccio intorno.
Ogni respiro è una fatica imprevista, un fischio acuto dal naso che fa latrare i cani del vicinato.  I rumori giungono ovattati a martello, incudine e staffa, che si rifiutano di battere a tempo sulla coclea. Ovvero non sento una fava, ma ho occhiaie nere e profonde e bellissime. L'intera topografia di Londra disegnata sotto gli occhi.
Il raffreddore, si sa, occlude le vie respiratorie, ma apre le porte della percezione.
Infatti ho ripreso a sognare: mare aperto e grigio, onde alte, naufragio con relativa allegria. Sono stati sogni pieni di vele e di acqua gelata che, forse, altro non erano che lenzuola e sudore.
Chiusa ogni via di comunicazione con l'esterno da insuperabili barricate di muco verdastro, ho ripreso a sognare da dentro. O, forse, è solo successo che il "grande predatore dentro la mia testa che uccide solo per gioco" sia scivolato sul ghiaccio stuccàndosi 'u cuddru.
 

lunedì 12 gennaio 2009

Alla finestra

- Oddio, cosa è stato?
- Nulla, non ti preoccupare! Solo una caduta di stile...
- Dici che s'è fatto male qualcuno? Tutto quel rumore...
- Per nulla...
- Come dici?
- Molto rumore per nulla...


[La locuzione "molto rumore per nulla" è entrata nel gergo comune, sia di matrice anglosassone che non, per indicare una esagerazione o una assurdità riferita ad un fatto del tutto trascurabile o inconsistente. Mawson, C.O.S. Roget’s International Thesaurus. 1922]
 

sabato 10 gennaio 2009

Da qua, il mare è troppo lontano

È che continua sempre, tremendamente a emozionarmi.
Nonostante abbiano fatto di tutto per trasformarlo in un brutto ricordo.








[Ma non fa nulla! Come sempre, delle persone a cui voglio bene scelgo di prendere tutto! Anche quello che fa male (forse, soprattutto quello, -ché, forse, sta nell'accettarsi viventi e imperfetti il senso ultimo dell'amore).]
            

venerdì 9 gennaio 2009

Interrogativi di fine pasto

Ginocchia: uh, ma hai visto che carina la barrista nuova...
Fukuda: no, cazzo, non l'ho vista! E com'è?  
Ginocchia:
hai presente una messicana? Ecco, tipo una messicana.
Fukuda: cioé?   
Ginocchia:
una bella bombetta. Bruna, e tutta tette e culo.
Fukuda: ah, un fagiolo...  
Ginocchia:
un fagiolo?  
Fukuda: sì, un fagiolo!
Ginocchia: [incredulo] ...  
Fukuda: [sovrappensiero]
chissà perchè i messicani somigliano così tanto a quello che mangiano?     

giovedì 8 gennaio 2009

Metereopatie

La neve di ieri mi costa la pioggia di oggi.
Interessi da strozzino e umore nero.
  

mercoledì 7 gennaio 2009

Come d'inverno

La prima palla di neve la faccio direttamente in casa.
Apro l'abbaino e il tetto mi offre trenta centimetri di bianco, un brivido lungo le ginocchia e fumo dal naso.
Il gatto mi guarda sospettoso e cerca di far tana sotto al tavolo. Ma sono appena le sei del mattino e il sonno mi rende impalcabile: lo prendo in pieno tra lo sgabello e la cuccia.
Rido. E poi corro a pulire con lo straccio.
Fuori il mondo ha perso. Non ci sono più strade, auto, palazzi. Solo vie da inventare con il passo cauto dell'esploratore.
Mi piace la neve perché fa tabula rasa. Anche di me.

La seconda palla la tiro sul cinquantasette che non ci vuol far salire. Due metri fuori banchina sono una regola idiota che fa male alla cortesia dei vecchi autisti, quelli che ti tiravano su anche al semaforo.
Le mie lamentele le faccio di ghiaccio, insieme a quattro, ritardatari studenti.
Poi c'è solo camminare piano nel parco, come si fosse incarnato il silenzio.

La terza palla di neve la tengo per chi si lamenta del tempo, che non se ne può più di questo ritornello noioso.
La neve in città è una meraviglia. E mette su voglia di fare all'amore.
             

martedì 6 gennaio 2009

Nella calza

La neve fa la città splendida, delicata di superfici immacolate e silenzio.
Magica, di una magia che è scovare nel cuore un entusiasmo bambino e la voglia infingarda di ridere forte. Non c'è forza che mi possa trattenere all'istinto selvaggio di infilarmi nel bianco e camminare per ore.
Torino è solo mia.
E di pochi altri avventurieri che devono spartirla con bambini e pupazzi di neve. [Il mio ha orecchie e capelli di edera, sorriso di betulla e occhi di quercia. E un gran naso da cinque centesimi.]
I canti del Natale ortodosso, celebrato all'aperto dell'Aiuola Balbis in una folla colorata di ombrelli, stupiscono anche le nuvole che si accaniscono a nevicare più forte.
La parola "sommerso" è un desiderio che covo da anni. Checché ne dicano i grandi di tutti i disagi.
La neve è uno spartiacque.
Io sono ancora dalla sua parte.
           

lunedì 5 gennaio 2009

Connotati

L'ultimo tocco di rasoio mi restituisce definitivamente la forma del mento. Erano più di diec'anni che non vedeva la luce.
Lo specchio fatica a riconoscermi e si appanna, quasi imbarazzato. Il lavandino scroscia acqua bollente sull'oceano di schiuma.
Alle spalle una voce mi irride:
- Adesso sembri proprio Starsky.
- Ma Starsky non aveva mica i baffi - replico quasi stizzito.
- E tu sembri Starsky coi baffi!
- Che culo!

Qualche giorno con una faccia che non è la mia non può farmi che bene.
Intanto, confido nella ricrecita lesta per rimettermi in sesto la personalità fatta in frantumi.