giovedì 29 ottobre 2009

Pax familia

Sorelladue ha occhi da indiana del Punjab, come due prugne castane che le occupano l'intero spazio del viso. Quasi me ne stupisco a vederli così grandi addosso a me, dopo tutti questi mesi. Senza rabbia, dopo tutti questi anni.
Mi scruta e ride un riso maltrattenuto che le piega la bocca verso il basso. No, non ci somigliamo molto se non nella durezza delle intemperanze.
L'incanto del rancore che la faceva ringhiare alla mia vista s'è come sciolto nel tino profondo delle mie occhiaie.
- Dovresti dormire - mi dice.
Sorrido. E con un cenno del capo le indico Ade che cuce
e ci guarda. La precisione dell'ago che infilza la stoffa le dà la sicurezza che la matassa ingarbuglaita delle nostre voci fa vacillare. Seguire le linee tracciate dal gesso è la sua vocazione.
- Ma come fai a parlare con quella? - chiedo a Sorelladue.
- Ma lascia perdere - risponde accorata - che sai che m'ha detto l'altro giorno? Che io e te dovremmo andare in ritiro spirituale per ritrovare noi stessi. Con Marrazzo.
             

martedì 27 ottobre 2009

Teoria e tecnica dell'autoinganno secondo il Rage

Rage: beh, certo, non farsi domande è una splendida soluzione. Ma, a parte il fatto che è pura vigliaccheria, è una prassi tipicamente femminile. Tanto le domande prima o poi tornano, tanto vale cercare di risolverle subito. Poi, insomma, ingannare se stessi non solo non può funzionare ma è da decerebrati (perchè ingannare qualcuno ha effetto perchè lui NON SA, ma se inganni te stesso ti inganni sapendo che ti stai ingannando, quindi direi che è come fermarsi a giocare alle treccarte nel sottopassaggio della stazione sperando di vincere).     
Ginocchia: beh. Io mi ci fermo sempre.
Rage:  [perplesso] ...
Ginocchia: a guardare.
Rage: tu hai incrontollabili istinti autodistruttivi.                

venerdì 23 ottobre 2009

Commilitone Elle

Gli arancini della zia Elle sembrano piccoli soli roventi. Solo a guardarli la pelle si arrossa, il sangue si scalda e la pancia si apre a voragine.
Il profumo dello zafferano trema ancora nell'aria, mentre mi spalmo due gocce di protezione venti sulla faccia.
Zia Elle mi guarda di traverso, le mani indaffarate ad appallottolare sistemi solari di piselli e ragù.
[Che poi, secondo me, la storia del
nucleo solare è un po' una fandonia raccontata agli ingenui. Ché al centro del sole di sicuro c'è la fusione nucleare di piselli, ragù e riso giallo. Mica altro.]
Le sue dita, gli anni si contano in sottili increspature di pelle, si muovono comunque veloci, una sequenza di gesti che provo a rubare con gli occhi. La lingua, però, è ancora più rapida: 
- Azzì, stai zitto ché io
già lo so. 
- Ah sì? E cosa sapresti tu?
- Quello che non dirai mai.
Sorrido e le spio il ruotare del polso che chiude la sfera di riso. Poi scosto una seggia e mi accomodo al tavolo, dove magicamente sono comparsi bicchieri e bottiglia.
Verso da bere e continuo a non dire.
É come una rimpatriata tra veterani di guerra. Non serve parlare.
   

mercoledì 14 ottobre 2009

Lessico familiare VII

Adelina mi osserva disorientata.
Il suo sguardo liquido scivola sulla mia superficie d'alluminio e fa pozzanghera ai piedi. Ha occhi verdi e grandi che sono belli da fissare, nonostante la malinconia della bocca. Sono gli stessi occhi che mi ha ficcato in faccia, alleggerendo il volto duro di mio padre. Ora sono questo. Una faccia da uomo con due occhi toppo grandi per nascondere qualcosa.
E tacere non basta a celare.
Tutta la durezza che metto al silenzio - o il rasoio della lingua - non reggono la tristezza di mia madre che mi scruta l'orizzonte del volto.
- Hai smesso di parlarmi - lei dice.
- Non ho mai cominciato - rispondo.
Allora torce la testa di lato e sorride. Come quando mi trovava nascosto sotto il tavolo con le mani straziate dai morsi per non fare sentire a nessuno l'angoscia. Bastava quello a cavarmi fuori, allora, dal pozzo di me.
Le rispondo ridendo, come dire: ho imparato a schivare i tuoi trucchi di rana pescatrice.
Poi mi scappa di cantare potessi dirti quello che nemmeno posso scrivere esiterei nel farlo. E ridiamo un po', ché io sono stonatissimo.
    

venerdì 9 ottobre 2009

La lingua del Santo ovvero Padova per principianti

Di Padova mi sorprende la bellezza. Inaspettata.
Ché ero sceso dal treno con l'umore degli appuntamenti al buio. Una sorta di machimelhafattofare che mi dondolava nella testa.
E invece no.
Sono bastati pochi passi insieme, con il trolley che ancora rantolva sull'asfalto, per smarrirmi.
Vie appena appena torte, che si aprono su piazze ampie. E portici. Vicoli di ghetto in cui perdere la ragione e palazzi in cui ritrovarla.
Mangiare solo,
seduto sotto il Leone di San Marco e rintanato nel grigio del vestito, è stato come corteggiare con lo sguardo la città. Lo stesso sguardo che neanche le donne belle che scivolavano leggere sui tacchi - saran queste le famigerate galline padovane? mi son chiesto - riuscivano a rubare per sé.
E poi tra le ossa del Santo, che era amico della nonna - e mia nonna vecchia abbastanza per averlo conosciuto - trovare le parole che mai mi sarei aspettato.
La strada da seguire è smettere di seguire una strada. 
        

venerdì 2 ottobre 2009

La conquista delle stelle

Il bello dello spazio è che non ci si può arrivare, non tanto facilmente almeno.
Come molto del bello di Cosmonauta sta in quel non essere riuscito ad andare a vederlo per almeno un paio di settimane consecutive. Missione rinviata per cause di forza maggiore. E intanto andavano in orbita i commenti della Signora Pi - identica alla segretaria dell'inferno di Beetlejuice che butta fuori il fumo da un taglio nella gola, per intenderci.
Andate a vederlo, diceva roca, che è bellissimo.
Ora, bellissimo mi pare troppo, ma io, di Luciana, avessi avuto sedic'anni, mi ci sarei invaghito.
Mi piacciono da morire i tipi border-line.