venerdì 6 febbraio 2009

Le parole di troppo

La novità è che si muore, gente! Si muore.
E si muore pure male.
Il corpo è una macchina ben miserabile quando s'inceppa e le sue decantate meraviglie si trasformano in dolore. In fondo non siamo molto più di questo: un sacchetto di carne con dei tubi dentro. Per quanto quella scintilla di autocoscienza -chiamala anima, chiama intelligenza, chiama un po' come cazzo ti pare- tenti disperatamente di elevarci al di sopra della vita, altro non siamo che sangue e visceri e quattro impulsi elettrici a basso voltaggio, con il programma molto semplice di strafocarci e riprodurci. Poco di più.
Si muore, cazzo, e lo ripeto. Si muore. Perchè qua ce lo stiamo dimenticando tutti.
La gente si aggrappa disperatamente alla vita, anche a quella altrui, con grinfie da megera. E la smania falsa di difenderla, questa vita, non fa altro che avvilirla.
Mi ero promesso di non parlarne più, nauseato dallo starnazzare ipocrita dei media. E, soprattutto, per il rispetto profondo che nutro nei confronti di quell'eroe che è Giuseppe Englaro. Tace lui, chi sono io per dire? 
Ma qualcosa mi ha fatto di nuovo tremare di disgusto e i denti si sono digrignati, ma non sono stati capaci di mordere la lingua.

La fortuna, a volte, è avere ogni mattina quattro neurologi a portata di voce. Gente con i controcoglioni sotto, che si confronta con la malattia e la morte quotidianamente.
Così, oggi non ho resistito e, invece di discutere dei nostri miserabili problemi di marker molecolari, ho chiesto loro di spiegarmi che cos'è il coma vegetativo, "niente opinioni personali, per favore, solo fatti scientificamente provati!".
Ho imparato che la coscienza può morire senza che la macchina-corpo si spenga, ovvero che ciò che muove il cuore, che spinge le costole ad alzarsi e abbassarsi, che strizza l'intestino e ci fa cagare è una parte del sistema nervoso atta al mantenimento dell'omeostasi. Nulla più.
Non c'è la vita che si brama di difendere, lì.
Solo la fine meccanica del corpo.
Ho imparato che, checché ne dica la gente, Eluana è morta diciassette anni fa. Aveva ventidue anni e credeva che non fosse giusto accanirsi nel tentativo vano di protrarre una non-vita. Rimane di lei l'involucro e un insieme di riflessi che, non sostenuti dalla terapia -il sondino nasogastrico è terapia!-, si spegnerebbero.
Non c'è coscienza e non esiste provata possibilità del suo recupero.
Eluana non morirà di fame e di sete tra atroci dolori, come vogliono farvi credere, perché Eluana non c'è.
Non c'è più da tanto.
Abbiate solo pietà delle sue spoglie e di chi la amata.

La morte è, per i vivi, una cosa difficile.
Un vicolo cieco da cui raramente si esce.
E chi si ostina a rifiutarla in maniera vigliacca non fa altro che proiettare le proprie paure e la propria incapacità di accettare la fine sul corpo di qualcun altro.
Nonostante possa sembrare crudele, lasciare andare qualcuno è un atto d'amore.
E non si può fare altro, a volte, che affidare la nostra volonta a chi ci è vicino.
Ora, la questione si fa personale.
In tutti i sensi.

Mio padre mi chiese di aiutarlo a morire tre volte.
La prima, lo fece con quell'aria da stronzetto che ho imparato a usare anch'io per sondare un terreno minato: dire la verità facendo finta di scherzare, mezzo sorriso, e poi trincerarsi dietro l'ironia se il gioco si fa troppo faticoso da sostenere. Ma, allora, c'erano ancora margini di miglioramento e qualche speranza falsa a cui aggrapparsi.
Me la sfangai con una risata.
La seconda, fu quando la speranza ci abbandonò definitivamente.
Ma c'era ancora Adelina che non accettava di perdere e bisognava insegnarle a stare sola.
Ostinata nel gioco e in dio non sapeva arrendersi. Provare a spiegarle le ragioni della dignità fu una delle ultime fatiche che divisi con lui.
La terza volta, mio padre non mi chiese niente.
Semplicemente rifiutò cibo e cure.
Sorella Uno, Sorella Due e io lo tenemmo lontano dal troppo amore di mia madre e dall'eccessiva solerzia di qualche infermiera.
Furono necessari due mesi di incosciente agonia.
Era settembre e c'era tanto sole.


Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l´individuo è sovrano.
John Stuart Mill, La libertà



[E poi c'è questo, che non mi pare cosa da poco! E anche questo, da ricordare! In ultimo, un invito alla lettura.]
       

11 commenti:

  1. le tue sono perfettamente, maledettamente giuste.

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  2. Saluti a te, grazie per quel che scrivi e grazie per esser passato a trovarmi.

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  3. aprezo molto quest'uomo che sta lottando per tutti.
    perchè bastava trasferirsi in olanda e farlo lì senza pensare a chi sta nelle stesse condizioni, senza pensare a farlo per coloro che ne avranno bisogno.
    una lotta durissima.

    e poi se un padre decide di fare questo penso che possa bastare a dimostrarne l'ineluttabilità.

    resta infine che si potrà scegliere.
    impedire è da balordi.

    quegli stessi balordi che mentre ostentano la protezione oltranzista alla vita, permettono alla gente di morire sul lavoro, a scuola e di mafia.

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  4. anch'io non volevo parlarne sia per quello che hai scritto tu che per il fastidio anche solo ad usare certe parole, pero' arriva un punto in cui non si puo' piu' far finta di nulla. nemmenoi noi nel nostro piccolissimo angolino virtuale.

    ti mando un abbraccio e grazie per quello che hai condiviso in questo post

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  5. mi piace molto come scrivi, inutile dire che tutto questo accanimento è veramente inutile e angosciante. condivido appieno il tuo pensiero

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  6. che dire... quando tutto è stato detto, stradetto, strumentalizzato e violentato...

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  7. ma tanto i signori del governo sono più forti della morte...

    Ale

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  8. Non posso che essere d'accordo.
    Spero solo che la gente si renda conto in tempo, prima che qui si decida che si debba vivere (vivere, poi?) in eterno, tutti quanti. Prima che qualcuno lo decida per noi.

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  9. non posso che condividire ogni tua parola...

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