mercoledì 27 maggio 2009

Apologetica del ciclismo

La salita al Centocroci inizia subito dura.
Le gambe cominciano a stridere dopo pochi metri pedalati a ritmo, i polmoni divorano l'aria affamati. Nel petto, un ingranaggio impazzito rimbomba fino alle orecchie.
Non sento nient'altro. Non la voce di chi ha ancora la forza di parlarmi, non il vento tra gli alberi, non il rombo delle poche auto che ci assalgono alle spalle.
Quando mi fermo è perchè credo di star per morire. Solo che mi spiacerebbe tirare le cuoia così, con i piedi incastrati ai pedali in una ridicola caduta laterale sulle ruote. Meglio accasciarsi nell'erba, come si conviene.

Quando intravedo la meta, giusto una manciata di curve più in là, mi sono già dovuto fermare altre due volte.
Le costole digrignate sul respiro affannato.
Le gambe rifiutano il passo e a poco serve incaponirsi con tutto il peso del corpo.
Non rimane nulla di me. Non il cuore, non le forze, non la volontà. Sono completamente svuotato di energie.
Ho dato tutto. E ora c'è solo l'abisso degli occhi che si chiudono per la stanchezza.
é in quel momento che sento la mano di Matteo appoggiarsi sulla schiena e spingermi avanti, come a levarmi dieci chili di peso. La gamba, allora, pare farsi leggera e ricomincia girare.
Mi accompagna così per gli ultimi, interminabili chilometri, fin quasi alla cima.
Quando mi lascia sento di nuovo la gravità affossarmi a terra.
Infilo le ultime quattro pedalate stanche e stramazzo al suolo, appena accanto alla scritta Centocroci.
Quasi centouno.

La discesa vola via in quindici minuti scarsi di assoluto riposo. Ma com'è, mi chiedo, che due ore e passa di ascesa si risolvono poi in pochi attimi di piacevole volo?
Un pensiero si perde nel vento.
Tutta la mia vite è così: trascinare un peso sullo stomaco che non so spiegare a nessuno, fino a quando mi tengon le forze, fino allo stremo.
Poi sta a chi cammina con me decidere se lasciarmi indietro o dividere il peso e arrivare insieme alla meta.
Il gesto nobile del ciclista, nella vita, somiglia a un miracolo.
   

11 commenti:

  1. Il ciclismo come metafora della vita... (b)

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  2. e poi magari passa qualcuno e ti dice: "chi te lo ha fatto fare?"
    (ma tu a quel punto una vaga idea di cosa rispondere ce l'hai già...)

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  3. se guardi avanti con ottimismo
    la mano pronta a spingerti prima o poi compare dal nulla e di solito succede proprio quando meno te lo aspetti :) fico no???

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  4. di link in link sono andata a vedere il percorso...
    il fatto che inizi da via sivori, è emblematico... indicherà che hai sbagliato qualche scelta, nella vita?!? ;)


    (comunque, complimenti, davvero!)

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  5. b.. la vita come metafora del ciclismo dici che è una cazzata? ;)

    gmai.. ecco, io ancora me lo chiedo: chi me l'ha fatto fare? però mi è piaciuto assai..

    marlene.. già, in fondo a me piacciono le mani sul culo.. ;)

    elena.. no, non ho sbagliato! in realtà il giro l'ho cominciato un po' di chilometri più avanti, mica ce la facevo a farmi due scollinate..

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  6. solo chi ha fatto con te quello sforzo, chi in qualche modo lo conosce sulle gambe è in grado di allungare la mano per spingere...

    Ad ogni modo, cari cicloamatori de sta cippa, ho capito che vi divertite in discesa e bla bla bla ma dovete stare sulla cazzo di destra !!

    s. ( una che ha un futuro come "investitrice" )

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  7. da quanto scrivi, pensavo fossi una donna. :) bel post.

    Zion

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  8. La vita come metafora del ciclismo, dici? Mm... (b)

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  9. ma la vita è sempre, in fondo, un peso che vale la pena di essere vissuta proprio per quegli attimi di "piacevole volo".

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  10. Ah, ecco chi era quel matto che che si inerpicava mentre io era seduto al barre coi ponci...

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  11. sagami.. a scendere le macchine manco mi vedono, è a salire che sono come fermo..

    zion.. anche io, a volte, penso di essere una donna..
    e provo subito a baccagliarmi..
    :/

    b.. sì, ma molto meno divertente..

    eppi.. già, ma a volte sono così brevi..

    pepper.. io, dopo questa, mica mi sono più alzato dal barre..

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